L’utilità di rivedere il concetto e le conseguenze dell’Iperventilazione
polmonare acuta o cronica nella fisiopatologia
umana credo che possa risultare utile
al fine di comprendere l’importanza di una respirazione corretta per mantenere o per ripristinare un equilibrio psicofisico oggi considerato
difficile da raggiungere; escludendo i pazienti affetti da patologie cardiopolmonari
o quelli degenti in Rianimazione, alla iperventilazione nel quotidiano viene data scarsa importanza soprattutto perché la nostra epoca è caratterizzata dalla fretta e dal desiderio
di raggiungere delle performance sempre
più avanzate in ogni campo; tali scelte influenzano purtroppo negativamente la nostra
vita. Ci siamo dimenticati che l’atto respiratorio nel suo complesso, anche se
automatico alla nascita, quando si diventa adulti può essere influenzato dalla volontà per salvaguardare il nostro equilibrio
biochimico interno. Da quanto sopra affermato si può dedurre che la respirazione necessita di
essere preservata dall’acquisizione di abitudini sbagliate che possono renderla poco efficace se si vuole raggiungere una buona ossigenazione. In breve una
respirazione corretta è fondamentale per il nostro stato di salute in quanto può
prevenire e curare alcune patologie
comuni nelle quali talvolta è
difficile trovare la causa da cui
derivano.
Fatta questa premessa, bisogna ricordare che si deve alla perspicacia di alcuni medici
militari, durante la Guerra Civile Americana, i quali notarono che lo stress
provocato dal combattimento e che si accompagnava ad una respirazione frequente
e superficiale di tipo costale provocava
in molti soldati alcuni
sintomi come: fame d’aria, senso di soffocamento, parestesie diffuse. Da allora
questa correlazione tra iperventilazione e i sintomi sopradescritti è stata
possibile osservarla sempre più spesso soprattutto in alcune persone
superficialmente etichettate come nevrotiche, ansiose e ipersensibili ad alcune
esperienze e ad alcune emozioni forti presenti nel loro vissuto.
Questo quadro sintomatologico sopradescritto
una volta denominato Sindrome da sforzo,
oggi è conosciuto come Sindrome da
Iperventilazione; essa si può presentare in forma acuta in individui che di base hanno una
respirazione contratta soprattutto
quando inconsapevolmente per un qualsiasi stimolo derivante dallo stress ne
accentuano la frequenza; in tal caso l’organismo interpreta l’aumento del ritmo
come se stesse vivendo una situazione di pericolo; pertanto il paziente ha
paura e quindi presenta: un disorientamento, una sensazione
di fame d’aria, parestesie, vertigini,
svenimento, paura di morire per infarto o per ictus, timore di impazzire o di
commettere atti inconsulti. L’insieme di tali disturbi da qualche anno è
catalogato, secondo la moderna psichiatria, come Disturbo di Panico.
La stessa sindrome si può presentare in forma cronica o ricorrente, in tal caso sono presenti alcuni sintomi che,
interessando diversi apparati, risulta difficile addebitarli all’iperventilazione, essi sono: singhiozzo
ripetuto, dolori al torace, vertigini, secchezza della cavità orale,
palpitazioni, spasmi muscolari alle estremità, sbadigli, necessità di
effettuare respiri profondi, disturbi del sonno, astenia profonda,
intorpidimento, formicolii agli arti e periorali , disturbi del circolo
periferico, spasmi bronchiali, turbe
gastro-enteriche etichettate come colon irritabile o come sindrome dispeptica.
Mentre la forma acuta è più facile da diagnosticare, la seconda lo è molto meno
se non si ha una certa esperienza clinica nel merito e se non si osserva, da parte del
curante, il modo anomalo di respirare
del paziente. In ambedue le forme un
aiuto può essere fornito dal laboratorio sottoponendo il paziente ad una emogas analisi che permette di rilevare le
eventuali modificazioni della CO2, dell’O2 e del pH del plasma; nelle forme croniche per misurare il livello della CO2
nell’organismo può essere utile e semplice l’esecuzione della cosiddetta “Pausa
di controllo” che consiste nel valutare per quanto tempo, dopo una
espirazione normale, si può stare in apnea senza il minimo sforzo; in presenza
di iperventilazione la durata è al di
sotto di 25 secondi (valori normali:
50-60 sec.).
La patogenesi della suddetta
sindrome è legata ad un incremento del
volume respiratorio nell’unità di tempo; infatti dai normali 5 litri si può passare ai 10-15 litri e più al minuto. Generalmente, se non si è in presenza
di malattie cardiovascolari o di gravi infezioni cerebrali, l’iperventilazione non incrementa l’ossigenazione in quanto
quest’ultima dipende dai valori dell’emoglobina,
ma al contrario favorisce l’eliminazione
esagerata della C02 a causa della sua estrema diffusibilità
alveolare; ciò comporta uno stato di
ipocapnia associato ad un pH ematico
marcatamente alcalino in quanto
la CO2 è presente disciolta nel plasma come acido carbonico; si possono associare
ipocalcemia e ipomagnesemia come compenso per l’eccessiva eliminazione dei
bicarbonati attraverso il rene. Tali modificazioni, secondo l’Effetto Bohr ( in questo caso modificato)
causano uno spostamento verso sinistra della curva di dissociazione
dell’Ossiemoglobina e con essa una ridotta cessione di Ossigeno ai tessuti
periferici ed in particolar modo alle strutture cerebrali creando delle
disfunzioni a carico dei lobi frontali, del Sistema Limbico, dell’Amigdala, dei
nuclei Talamici anteriori e soprattutto
del Locus ceruleus dal quale deriva la maggior parte della
Nor-adrenalina cerebrale, ormone coinvolto nelle risposte di stress e di panico
che a loro volta sono peggiorate dall’insorgenza
di falsi segnali di asfissia.
Purtroppo l’ipocapnia, oltre a ridurre l’ossigenazione per una vasocostrizione dei
vasi cerebrali (documentabile con esami di Neuroimaging), è causa di spasmi a carico della muscolatura liscia dei
vari organi a struttura tubulare (esofago, stomaco, intestino, bronchi) le cui
patologie ho sopraelencato e che in qualche modo possono rientrare nel gruppo delle malattie psicosomatiche; qualora
non venga preso in considerazione l’effetto causale della iperventilazione
cronica, le stesse vengono diagnosticate
come Distonie neurovegetative essenziali
(?) e trattate per lungo tempo con
farmaci ansiolitici (considerati le
tachipirine dell’ansia) in associazione talvolta ai farmaci antidepressivi.
Al fine di ridurre l’insorgenza di
questa patologia è necessario correggere
la nostra respirazione soprattutto a riposo ripristinando la funzione del muscolo diaframmatico che ha
la capacità di espandere i 2/3 inferiori
dei polmoni; è fondamentale rallentare
la frequenza dell’atto respiratorio, un esempio: l’inspirazione e l’espirazione dovrebbero ognuna avere la
durata di cinque secondi, l’intervallo tra di esse e
tra due atti respiratori consecutivi
dovrebbe essere ancora di cinque secondi (questi tempi possono allungarsi con un esercizio graduale); tale tipo di respiro normalizza la CO2 ematica riducendone
l’eccessiva perdita alveolare e quindi
migliorando l’ossigenazione;
questa pratica che andrebbe esercitata per alcuni minuti al giorno e per lungo tempo facilita,
a riposo, l’instaurarsi di una respirazione
diaframmatica spontanea. Tale modalità respiratoria
è indicata per tutti e in particolar modo per quei soggetti che vivono in uno stato di ansia cronica e che talvolta sono considerati malati
immaginari in quanto iperventilano in modo poco evidente. .
A
conferma di quanto riportato, è noto che le varie tecniche di rilassamento e
tra queste la pratica dello Yoga, una
disciplina orientale millenaria, si basano su una respirazione calma, non celere e concentrata sul diaframma e
pertanto risultano efficaci nel trattare
e nel prevenire le suddette disfunzioni respiratorie; infatti rappresentando le stesse un anello di congiunzione tra soma e
psiche, sono capaci di promuovere un benessere mentale, psicologico e fisico.
Da quanto si evince la sindrome
da iperventilazione, può essere trattata
anche con le sole potenzialità che Madre
Natura ha posto in ognuno di noi rappresentate in questo caso dal ripristino di
una respirazione corretta. Per far
questo è fondamentale riscoprire la funzione del muscolo diaframmatico da
moltissimo tempo dimenticata!
Pertanto poiché esiste anche un nesso evidente tra il nostro stato d’animo e il nostro respiro
è auspicabile per tutti rieducare
quest’ultimo al fine di rendere la nostra vita più serena riducendo lo stress quando è eccessivo e che risulta essere alla base di molte patologie
che purtroppo oggi trovano soluzioni terapeutiche soltanto sintomatiche.
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