lunedì 19 dicembre 2011

La differenza sul piano terapeutico tra fitocomplesso e farmaco di sintesi

Caro Scarponi, ho letto con estremo interesse il tuo articolo ("Perdonami perchè ho peccato!", Bollettino - Ordine dei Medici 3/4 2011, pag. 5-7) a proposito della Medicina Alternativa. Io ho svolto per circa 40 l’ attività di chirurgo generale dapprima nel glorioso Policlinico di Perugia e successivamente nell’Ospedale  Silvestrini sotto la guida del Prof. Mercati.
Premetto che   mi interessavo anche delle problematiche della  medicina internistica perché ero convinto che per comprendere fino in fondo il malato un clinico deve padroneggiare le branche fondamentali dello lo scibile medico.
Nell’87 ho incominciato ad interessarmi di medicina naturale perché mi sono reso conto che quella tradizionale,  insegnatami all’Università, non era sufficiente per comprendere integralmente la “malattia” e di conseguenza per attuare una terapia risolutiva in almeno il 50% delle patologie di cui erano affetti i pazienti. La necessità di questo apprendimento allargato era legata anche al fatto che le varie consulenze presso i vari specialisti erano infruttuose ai fini della comprensione e della risoluzione radicale e non sintomatica degli eventi patologici. Il malanno  di cui non si capiva l’origine veniva regolarmente etichettato come “Essenziale oppure Funzionale oppure Psicogeno. Questa carenza era subordinata al fatto che l’insegnamento ufficiale tralasciava completamente materie come la Fitoterapia, l’Agopuntura, l’Omeopatia, l’Osteopatia, il Massaggio terapeutico e la Pranoterapia, considerandole false discipline scientifiche e quindi non meritevoli di essere prese in considerazione dall’arte medica ufficiale. Faccio notare, per inciso, che qualcuna di queste  branche avevano ed hanno l’onore di essere insegnate  presso le più prestigiose Università del mondo (due esempi per tutti: nelle  Università Americane e nelle  Università Tedesche) dove rilasciano dei titoli accademici veri e propri.
Mi resi conto che i “cosiddetti maestri” avevano dimenticato gli  insegnamenti di Ippocrate e di Galeno che consideravano l’uomo come  una unità di funzionamento  nella malattia come nella salute e che tutte le nostre parti del corpo lavoravano in armonia per raggiungere e per mantenere un benessere generale. Proprio su questi principi si basano le varie materie della medicina alternativa olistica. La nostra cultura medica al contrario ha spezzettato la Medicina con la “M” maiuscola in tante parti con il risultato di aver reso quasi introvabile un Clinico che sappia fare una sintesi completa su un caso di malattia e soprattutto sappia trovare all’uopo una vera terapia, perché no, definitiva. Questo tipo di medicina non ha fatto altro che rendere sempre più medicalizzata la nostra vita.
Se permetti, ritenendomi un cultore della fitoterapia, vorrei sottolineare l’importanza che ha il concetto  di Fitocomplesso,  per quanto riguarda le piante medicinali, nella cura delle malattie.  Premetto che il loro contenuto è rappresentato non soltanto dal “Principio Attivo” (sicuramente la sostanza più efficace nel combattere una patologia), ma anche da numerosi  elementi chimici rappresentati da enzimi, da vitamine , da oligoelementi, da particolari zuccheri e aminoacidi, da lipidi insaturi e da altri componenti vegetali  che non sono degli accessori inutili, ma rappresentano un insieme fondamentale per rendere il cosiddetto principio attivo efficace al 100%.
Bisogna ricordare che la Natura non si smentisce mai. Quando crea un qualcosa di utile all’uomo lo fornisce completo di tutti i presupposti per funzionare al top. Infatti in un prodotto naturale ci sono l’armonia e la perfezione assoluta direi una scintilla di divino almeno per ci crede!
    Che cosa ha fatto l’industria farmaceutica? Non essendo brevettabile l’estratto totale di una pianta medicinale, ha ritenuto opportuno fare estrarre in laboratorio  il principio attivo e in tal modo si è messo a punto un farmaco con tanto di nome che non ricorda neanche lontanamente la pianta di origine, ma la cui efficacia terapeutica è risultata inferiore. Ciò l’ho verificato sulla mia persona e su i risultati ottenuti in alcuni miei pazienti  usando sia il composto isolato dall’industria farmaceutica sia  quello naturale. Posso portare alcuni esempi di piante che sono state sottoposte a questa estrazione chimica con il risultato di ottenere una riduzione dell’attività terapeutica senza tema di essere smentito: il Biancospino(nella patologia cardiaca) l’Iperico Perforatum (nella malattia depressiva), la Serenoa Repens (nella patologia prostatica), il Cardo Mariano (nella patologia epatica) e qui mi fermo per una questione di spazio.  Questo tipo di lavoro laboratoristico lo trovo quanto meno non scientifico e poco deontologico. Per un problema, sicuramente non di tipo medico, si è avuta la presunzione di mettere in commercio un prodotto ad uso dei Colleghi prescrittori che non conoscono la problematica dell’estrazione e la finalità di questa trasformazione chimica, ma che nel contempo si sentono rassicurati dal nome noto della Casa Farmaceutica che la mette in atto. Cui Prodest? Sicuramente non al malato. Faccio presente inoltre, per sottolineare una contraddizione, che mentre il prodotto farmaceutico più costoso e meno efficace è mutuabile, il prodotto erboristico, sicuramente più risolutivo, non lo è.
Caro Collega, fatte queste precisazioni per me fondamentali, mi corre l’obbligo di  congratularmi con te per aver avuto l’idea e perché no il coraggio di aver portato alla ribalta  una problematica tanto importante e tanto dibattuta al fine di avere un’arma terapeutica in più nel trattamento efficace di molte patologie in assenza di effetti collaterali e  tossici rilevanti. Ti fa onore la curiosità scientifica e l’onestà intellettuale nell’approcciare  alcune malattie utilizzando procedimenti naturali.
 Lascio a te il giudizio se questo mio  scritto, basato su fatti incontestabili dal punto di vista scientifico, possa trovare diffusione   sul Nostro Bollettino o nella forma di lettera a te inviata come Responsabile o  come un approfondimento, previa piccola modifica tecnica.
Decidi tu. In caso contrario penso di avere la possibilità di farne oggetto di un articolo su un quotidiano.  In attesa di un tuo riscontro colgo l’occasione per farti i miei migliori auguri per la tua nuova attività in seno all’Ordine come Direttore Responsabile
    Francesco Gamuzza
Perugia 16-12-2011

martedì 6 dicembre 2011

IL CONCETTO DI "FITOCOMPLESSO"

Quando un farmaco allopatico non risulta efficace, nel trattamento di una malattia, generalmente si può fare ricorso con successo alla Fitoterapia che comprende numerose erbe medicinali che hanno la caratteristica di contenere al loro interno composti chimici naturali che possono essere usati per fini terapeutici. Nei giusti dosaggi non presentano quasi mai effetti collaterali nocivi.
Un concetto fondamentale, per spiegare l'efficacia dello stessa, è rappresentato dalla conoscenza esatta del significato di "FITOCOMPLESSO". Quest'ultimo infatti per definizione è costituito da un vero e proprio mixage di sostanze chimiche; una di esse quasi sempre è fornita di una attività più efficace e più specifica definita "PRINCIPIO ATTIVO". Le numerose altre sostanze contenute nel firtocomplesso non sono meno importanti ai fini del risultato terapeutico; infatti hanno la capacità di influenzare il metabolismo, l'assorbimento, l'eliminazione del principio attivo, e quindi di renderlo più attivo.
Pertanto l'attività di un estratto totale di una pianta medicinale è il risultato dell'azione integrata di tutte le sostanze in essa contenute e mirabilmente proporzionate; di conseguenza l'azione terapeutica non può essere ottenuta, in maniera ottimale, dalla somministrazione del singolo principio attivo.
  E' stato dimostrato più volte sul piano sperimentale e clinico che l'azione isolata del principio attivo è molto meno efficace rispetto all'estratto totale.
    E' importante sottolineare anche che la tollerabilità dell'uso del fitocomplesso risulta notevolmente superiore rispetto a quella che si ha con la somministrazione del singolo principio attivo purificato. E' l'armonioso equilibrio dei vari componenti chimici contenuti in una erba medicamentosa che determina alla fine il successo terapeutico in assenza di effetti collaterali.
    Purtroppo quando subentrano interessi economici si riduce la magia dell'efficacia terapeutica di una pianta medicinale. Ciò avviene quando l'industria farmaceutica, riconoscendo il potere terapeutico elevato di essa, impossibilitata a porre un brevetto sulla stessa si adopera in tutti i modi ad estrarrne il  principio attivo o addirittura a sintetizzarlo in laboratorio creando il siggillo della novità a scapito dell'efficacia e denominandolo con nomi che non ricordano affatto la provenienza naturale della pianta di origine.
     Il risultato di questa operazione laboratoristica è una sicura riduzione del potere terapeutico del nuovo composto ed inoltre un aumento del suo costo. Si conferma anche in questo campo che il business è l'unico traguardo da raggiungere.
      Pertanto è utile, per la nostra salute, diffidare di un composto creato ad hoc dall'industria a favore dell'estratto totale e originale che la natura ha sapientemente predisposto per il nostro benessere.
Dimenticavo di sottolineare che il solo principio attivo  è tre volte più costoso dell'estratto vegetale (fitocomplesso).
   Agli amici lettori interessati a questo problema chiedo il commento più disinteressato.

Malati di obesità: i rimedi contro la nuova pandemia

L’obesità insieme al sovrappeso rappresentano, nel mondo occidentale, una patologia che per la sua frequenza e la sua diffusione può essere definita una pandemia che colpisce l’essere umano in ogni epoca della sua esistenza, anche in età pediatrica. Se non curata in tempo risulta estremamente grave sul piano prognostico perché, associandosi immancabilmente al diabete 2 dell’adulto,  può causare  a sua volta  gravi affezioni cardio-circolatorie come l’infarto, l’ictus cerebrale, l’ipertensione arteriosa,  l’ insufficienza renale, senza peraltro sottovalutare le ripercussioni psicologiche negative che può subire una persona a causa dell’eccessivo peso.
       Si stima che tale disordine metabolico in Italia interessa circa 10 milioni di persone. Un contributo alla sua insorgenza è sicuramente dato dal cambiamento radicale che ha subito l’alimentazione  negli ultimi decenni a causa di una raffinazione esagerata di alcuni nutrienti  di base da parte dell’industria. L’introduzione di un carico calorico eccessivo associato ad un consumo notevole di carboidrati ha reso possibile alcune alterazioni del nostro metabolismo che hanno portato a sovvertimenti ormonali a loro volta causa del sovrappeso.
       Questi carboidrati, una volta digeriti, passano nel sangue come  zuccheri che stimolano una ghiandola endocrina, il Pancreas, a produrre Insulina. Questo ormone ha la proprietà di legarsi a determinate strutture delle cellule, denominate Recettori Tessutali, che permettono la penetrazione dello zucchero nel loro interno. E’ interessante sottolineare che questi recettori, sono presenti su tutte le superfici cellulari, ma in particolar modo a livello delle fibre muscolari, nel fegato e nel tessuto adiposo. Quando lo zucchero presente nel sangue risulta elevato e si è in presenza di un ridotto numero di recettori tessutali, evenienza che spiegherò  più avanti, il pancreas per  reazione produrrà una maggiore quantità di insulina. Questo surplus non favorirà l’ingresso dello zucchero negli organi di deposito (muscoli e fegato), ma permetterà la sua penetrazione  nel tessuto adiposo che lo trasformerà in grasso. Quando l’insulina risulta biologicamente inefficace si è in presenza di una Resistenza Insulinica.  
      Pertanto un eccesso di insulina rappresenta il motore biochimico per l’instaurarsi di una eccedenza più o memo grave del peso corporeo.
   A prescindere dall’importanza del numero di questi recettori cellulari, il blocco funzionale dell’insulina può essere accentuato anche dalla riduzione del cosiddetto F.T.G. o fattore di tolleranza dello zucchero.
         Questa sostanza,  poco usata nel trattamento del diabete, formata da un micro-elemento denominato Cromo incorporato in una struttura organica, non è un sostitutivo dell’insulina, ma quest’ultima risulta  inefficace in sua assenza .
         In molti soggetti  mancando il cromo si può instaurare una forma frequente di diabete 2 e cioè il tipo insulino-indipendente  associato ad un eccesso di peso corporeo. Poiché tale elemento è presente negli alimenti integrali è consigliabile un loro uso quotidiano.
          A questo punto ci si può chiedere perché, pur mangiando la stessa quantità di carboidrati, alcune persone rimangono magre ed altre possono incrementare il loro peso? La spiegazione è semplice.
Un soggetto che ha uno sviluppo muscolare adeguato, perché conduce una vita attiva, possiede a livello muscolare molti Recettori cellulari che possono captare l’insulina e quindi permettere allo zucchero introdotto con l’alimentazione di depositarsi all’interno delle cellule muscolari  e del fegato come glicogeno o zucchero di riserva pronto per essere utilizzato. Al contrario in un soggetto con un apparato muscolare atonico (a causa della sua sedentarietà), e quindi scarsamente dotato di recettori dell’insulina, lo zucchero presente nel sangue sarà dirottato all’interno del tessuto adiposo le cui cellule lo trasformeranno in grasso. Si evince pertanto che l’ingresso dello zucchero nelle cellule muscolari è direttamente proporzionale allo stato trofico dei muscoli.
        Quindi risulta evidente che per evitare alti livelli di insulina è fondamentale la pratica dell’esercizio fisico o quanto meno l’adozione di uno stile di vita più attivo (scarso utilizzo dell’auto, uso limitato dell’ascensore e delle scale mobili, meno ore davanti alla TV e al computer). Alcuni studi  permettono di affermare che, anche in presenza di un aumento esagerato di insulina , l’esercizio fisico favorisce l’utilizzo dei grassi di deposito e quindi la riduzione di peso.
In definitiva l’attività fisica regolare incrementa il numero e l’efficienza dei cosiddetti recettori tissutali dell’insulina e di conseguenza migliora l’azione biologica di questo ormone impedendo dei picchi elevati della glicemia e quindi il diabete e l’obesità. In tal modo si ha un aumento della massa muscolare e una riduzione della massa grassa, ciò si traduce in un maggior equilibrio metabolico dell’organismo. Affinche’ l’esercizio fisico possa fornire tali effetti deve essere praticato per almeno un’ora più volte alla settimana. E’ stato dimostrato, da studi compiuti in Svezia, che una tale frequenza fa aumentare una sostanza chiamata Lipasi sensitiva che svolge una funzione di “Brucia Grassi” per circa 12 ore dal termine dell’attività fisica. Un’altra prerogativa è che durante lo sforzo la frequenza cardiaca non superi i 140 battiti al minuto senza eccessiva difficoltà respiratoria; in poche parole deve svolgersi in aerobiosi. In conclusione l’esercizio non deve trasformarsi in una performance di tipo competitivo, pena la riduzione dei benefici sopraelencati.
Tutti gli studi sull’argomento confermano  che ciò che distingue le persone magre è l’abitudine a camminare; infatti quelle  snelle percorrono ogni giorno alcuni chilometri, mentre quelle obese generalmente percorrono soltanto poche centinaia di metri.
A questo punto, per meglio comprendere l’insorgenza dell’obesità, vorrei sottolineare che il nostro tessuto adiposo viscerale a localizzazione addominale volgarmente detto “Pancia” non svolge soltanto  una funzione  di deposito, ma al contrario rappresenta un organo ormonale attivo a tutti gli effetti che reagisce al suo incremento volumetrico. In che maniera? Producendo appunto degli ormoni regolatori; i più conosciuti e studiati sono chiamati Leptina e Adiponectina.
        Il primo viene prodotto dalle cellule adipose quando incomincia ad aumentare il loro contenuto di grassi; tale ormone comunica al cervello che i depositi sono pieni; come reazione  il centro della fame  riduce l’appetito. In questo modo si blocca l’ulteriore accumulo.
   Purtroppo in alcuni soggetti questo meccanismo di regolazione è ridotto per la presenza di una resistenza congenita o acquisita all’azione della Leptina. In questo modo si può spiegare l’insuccesso di un trattamento dietetico inizialmente normocalorico.  Il secondo ormone  e cioè l’Adiponectina, induce  un maggiore  effetto lipolitico (Sciogligrassi) a carico dei depositi  soprattutto durante l’attività fisica migliorando nel contempo l’azione dell’insulina. Si può definire pertanto un acceleratore del “ dimagramento a cascata”.
E’ possibile diagnosticare correttamente uno stato di sovrappeso?
           Sul piano clinico esiste un segno obiettivabile e cioè la circonferenza del girovita; questo dato nell’uomo in sovrappeso deve superare i 98 centimetri, nella donna 88 centimetri.
   Poiché la chiave di volta di questa patologia è l’eccesso di insulina, dal punto di vista laboratoristico risulta  importante la valutazione  dell’insulina a digiuno che deve essere superiore a 10 mcg/ml, associata ad una glicemia superiore a 100mg%.
Un altro dato per valutare indirettamente  l’iper-insulinemia a digiuno è il rapporto tra Trigliceridi e HDL (la frazione del colesterolo cosiddetto buono) che nel soggetto in sovrappeso deve essere superiore a 2. La validità di questo esame è giustificato  dal fatto che un’ insulinemia elevata incrementa la quantità dei trigliceridi e la quantità di colesterolo prodotta dal fegato. Per inciso, a conferma di ciò, Barry Sears studioso della  cosiddetta “ Dieta a Zona”, dopo numerosi studi è arrivato alla conclusione che  un soggetto gode ottima salute, almeno sul piano dell’equilibrio metabolico, quando questo rapporto non supera il valore di 2.
     Quali sono i cibi che innescano il meccanismo che porta al sovrappeso?
Senza dubbio i cibi raffinati(non integrali) ad alto indice glicemico (zucchero facilmente assorbibile) e con alto indice insulinico (produzione esagerata di insulina) e cioè i prodotti derivati dalla farina bianca e dallo zucchero bianco (vedi : merendine varie, barrette di cioccolato, dolciumi di tutti i tipi, spuntini vari, bevande ipercaloriche che vanno sotto il nome di “soft drink” tanto propagandate dai Media radio-televisivi  nelle ore di massimo ascolto!). Anche l’assunzione di poche fibre con la dieta accentua il meccanismo di assorbimento degli zuccheri. Inoltre è imperativa la riduzione , perché rendono l’insulina meno efficace, dei grassi saturi (burro, margarina, carni rosse, oli idrogenati), presenti soprattutto nei cosiddetti “cibi spazzatura” venduti in alcuni noti fast-food (frequentati purtroppo anche dai bambini).
   Al contrario i cibi che ostacolano l’obesità sono: i carboidrati complessi, i cereali integrali, i legumi, le verdure, la frutta, i grassi vegetali, l’olio di oliva, i semi di soia ,di lino ,di girasole(ricchi di acidi grassi essenziali, utili per le funzioni delle strutture cellulari), la frutta secca, piccole quantità di carne bianca povera in grassi saturi (tacchino, pollo,  coniglio). Sostanzialmente una dieta vegetariana con qualche piccola eccezione….
     Dal punto di vista quantitativo il numero delle calorie, per prevenire un sovrappeso, dovrebbero attestarsi nelle persone giovani (dopo i 20 anni) tra 1000 e 1500 a seconda delle loro attività fisiche, tra i meno giovani tra 1400 e 1800, tra le persone della terza età intorno a 1200.
  Escludendo le persone che svolgono un’attività fisica ed un lavoro pesante, un  aumento di queste quantità caloriche  purtroppo rappresenta una causa certa di sovrappeso.
    Da quanto esposto si può capire perché anche una dieta corretta, può fallire l’obiettivo di ridurre il peso. Per ottenere dei risultati deve conformarsi alle leggi codificate della fisiologia umana in tema di alimentazione in associazione ad uno stile di vita salutare. Non si deve dare la preferenza  soltanto ad un nutrimento, trascurando gli altri perché l’insuccesso e le complicanze sono assicurate( vedi la dieta iperproteica). Al contrario deve essere armonizzata e possibilmente formata da cibi  naturali. Il segreto è saperli miscelare tenendo conto delle caratteristiche psicofisiche del paziente, del suo tipo di lavoro,del suo grado di sovrappeso, della sua età.
Comunque la formula migliore  che si può suggerire è la seguente: Riduzione complessiva delle calorie introdotte rispettando le proporzioni: 40% di calorie sotto forma di carboidrati, 30% sotto forma di grassi possibilmente insaturi, 30%  sotto forma di proteine, senza trascurare l’importanza degli oligoelementi quali: Zinco, Cromo, Magnesio che rendono più fisiologica e più efficace  l’azione dell’insulina.
E’ fondamentale abbinare alla dieta il movimento regolare,  non intenso e perché no piacevole e divertente (come può essere ad esempio anche la pratica del ballo) che agisce come regolatore dei nostri ormoni e soprattutto come mezzo per eliminare dal nostro organismo le calorie in eccesso che spesso imprigionano il nostro corpo in una gabbia di chili di troppo che non ci permettono di essere liberi e sani come la nostra natura reclama.  

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Articolo | | di FRANCESCO GAMUZZA

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