Si preferisce esaminare il malato per via analitica attraverso i
risultati di vari esami di laboratorio, attraverso esami strumentali tra i più
sofisticati oppure attraverso test genetici, mettendo in secondo piano il
rapporto personalizzato tra medico e paziente che nei tempi passati era
considerato basilare ai fini del raggiungimento di un risultato curativo più o
meno stabile. Tale rapporto non dovrebbe
rappresentare soltanto un
principio etico, perché nell’ esperienza di tutti i giorni si è
dimostrato un fattore terapeutico
essenziale come d’altra parte la Psicologia clinica insegna. In assenza di
questa componente umana la figura del medico rischia di diventare astratta in quanto viene data molta importanza, in un
evento patologico, allo stato psico-fisico dell’ ”Essere malato” trascurando
quello del “Sentirsi malato”. Purtroppo
in tal modo si arriva al paradosso di diagnosticare talvolta a distanza uno stato morboso anche per via on-line senza
conoscere le caratteristiche personali
di un paziente; infatti si prende in considerazione in questo caso purtroppo soltanto il concetto dell’”essere
malato”. Ciò si verifica perché il
medico si basa su standard e protocolli predefiniti elaborati secondo un metodo
statistico da anonimi esperti; in sostanza manca una medicalizzazione
personalizzata che tenga conto del perché dell’insorgenza di una malattia in un
determinato individuo e in un determinato momento della sua vita, trascurando il contributo che possono
avere le sue emozioni, il suo stato d’animo, la sua
vita familiare, le sue problematiche lavorative ed esistenziali per giungere ad una accurata diagnosi, in
breve non si pone la dovuta attenzione al suo stato di “Sentirsi malato”.
Adottando da parte dei medici questo sistema comportamentale si raggiunge
il solo scopo curativo di attenuare i
sintomi senza scoprire l’origine profonda che possono avere gli
stessi. Questi ultimi non sono altro che dei campanelli di allarme con i quali
l’organismo cerca di richiamare l’attenzione del paziente e quindi del
terapeuta, ma nei modelli curativi attuali non ci si preoccupa di scoprire da
quali squilibri interiori possono trarre
origine. Sarebbe auspicabile,
quando si è in presenza di manifestazioni patologiche più o meno gravi, che il medico mettesse da parte la fretta e
adoperasse il suo istinto empatico al fine di entrare
nella storia intima del paziente per comprendere fino in fondo il suo disagio e la
vera origine della malattia che è in atto, come peraltro fanno con
successo gli operatori della cosiddetta Medicina alternativa che tanta
importanza danno al colloquio prolungato con il malato. Soltanto in questo modo
si prenderebbe in considerazione lo stato psicofisico del “Sentirsi
malato” con risvolti positivi sull’esito
dell’evento morboso. Per la Medicina di
oggi è augurabile un ritorno ai tempi passati quando la centralità dell’uomo
assumeva un ruolo fondamentale nell’atto terapeutico. A tal proposito è
necessario rispolverare l’imperativo Kantiano e cioè che: “L’uomo è sempre e
solo fine e mai mezzo”. Solo in tal modo verrebbe salvaguardata la sua dignità.
Di conseguenza la Medicina è tanto più umana quanto più sa rispettare questa dignità dell’uomo
sofferente che spesso si viene a trovare in situazioni gravi ed umilianti. Non bisogna dimenticare
che il male altera in maniera
sostanziale non soltanto gli equilibri
fondamentali della persona per quanto riguarda i rapporti che esistono tra corpo, psiche e
spirito, ma anche quelle relazioni con altre persone del suo ambito familiare,
di lavoro, di studio. E’ importante sottolineare che trovandosi l’uomo in una
situazione di precarietà e di fragilità, necessita da parte di chi lo assiste l’obbligo di una attenzione particolare,
di un servizio più amichevole e disinteressato, di un aiuto premuroso e
concreto che possa accompagnarlo fuori
dal tunnel pericoloso in cui all’improvviso si è venuto a trovare. Quanto
sopradetto potrebbe concretizzarsi con un ascolto più attento e meno frettoloso
della storia che il malato propone, ascolto che ha tanto valore per una sanità
più umana e più efficiente. Perché
l’uomo malato non è una macchina rotta che va riparata come potrebbe fare un
meccanico; al contrario possedendo una
componente interiore impalpabile ma
reale fatta nel suo insieme: di processi
cognitivi, di pensiero, di memoria, di
sensibilità emozionale, tutti fattori che influenzano grandemente l’evento morboso,
necessita per il successo della cura un
intervento medico che si prefigga di scandagliare queste sue prerogative personali peraltro estremamente importanti. In caso contrario la
malattia si cronicizza e le ripetute e molteplici somministrazioni farmaceutiche risulteranno la
regola. Tutto ciò a scapito soprattutto del malato ed anche delle finanze
pubbliche. Per completare l’approccio personalizzato alla malattia non
può assolutamente mancare la cosiddetta
“Clinica” che si basa in particolare su una visita generale accurata. Il
paziente ha bisogno di essere toccato, di essere auscultato, di essere
esaminato a fondo prima di invitarlo a sottoporsi ad eventuali esami specifici.
Quante volte abbiamo sentito dire da parte di alcuni malati:” Finalmente ho
trovato un medico che mi ha fatto una bella visita”! Questa esclamazione è
legata alla rarità dell’evento.
Alcune volte il malato uscendo da
un ambulatorio, se ha ricevuto l’attenzione dovuta al suo caso clinico, si
sente migliorato; è conscio che in questo caso la sua problematica è stata
presa in considerazione come egli desiderava. Realmente si sono messi in moto
degli stimoli concreti che hanno ridotto
il suo stato di stress sempre presente quando si è in preda ad uno stato di
paura che quasi sempre accompagna la malattia. Non è augurabile per un medico non
provare compassione per un malato e non condividere il suo stato di sofferenza.
La freddezza emotiva non si addice ad un terapeuta; infatti da sempre è stata l’Humanitas il tratto che ha caratterizzato
la figura del luminare e del medico di base, portatore del sapere
scientifico il primo e di conoscenze pratiche il secondo. Forse è difficile far
rivivere in tutta la loro importanza queste figure, ma si impone parlarne per
invogliare i futuri medici a prenderle ad esempio. Sono sempre più convinto che
tale sentimento non si prende più in considerazione nella selezione della
futura classe medica; infatti oggi quest’ultima, data per scontata l’assenza
della meritocrazia, viene scelta con un
test di cultura generale spicciola escludendo di scoprire le vere motivazioni
personali che dovrebbero spingere i
giovani ad intraprendere una professione altamente umanizzante nei
confronti della società. A tal proposito
è necessario tenere a mente che la
Medicina non è sicuramente una scienza fatta di numeri e formule matematiche,
ma al contrario è un’Arte (la Tècne
iatrikè degli antichi greci la cui traduzione indica un tipo di attività artigianale che opera la
sintesi tra scienza, tecnica e arte) che necessita sì di conoscenze
scientifiche, ma che fondamentalmente si basa sull’umiltà e sul rispetto nel
rapportarsi con la persona malata. E’ una professione esaltante, affascinante
talvolta gratificante, ma anche impegnativa perché mette in campo nel suo
svolgimento pratico l’istinto empatico (secondo me innato), lo studio,
l’aggiornamento scientifico costante e il desiderio molto sentito di aiutare
chi è in difficoltà. Secondo le mie convinzioni se mancano questi elementi si
tradisce la Medicina rendendola impersonale e svuotata dei principi per i quali è nata. Mi auguro che
questa meravigliosa professione abbandoni la standardizzazione efficientistica
aziendale il cui scopo oggi è quello
di produrre anche utili e risparmi, come la politica impone, ma che talvolta rendono più difficile il percorso
di guarigione di chi sta male; e nello
stesso tempo auspico che la stessa intraprenda un nuovo corso fondato su una
maggiore personalizzazione e umanizzazione, da estendere anche ai luoghi di
cura, a tal punto da rendere meno
difficile e complicato il processo curativo e la restituzione alla vita di
quanti oggi si trovano a combattere con
un male che certo non hanno desiderato,ma che per sorte purtroppo sono costretti ad affrontare.
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