Gli studi specifici sull’argomento hanno evidenziato che i meccanismi che portano
alla malattia conclamata iniziano anche venti anni prima che si instauri una grave riduzione del potere cognitivo.
Non essendo oggi disponibile una terapia efficace, è importante orientarsi verso la sua prevenzione o quanto
meno verso lo spostamento della sua insorgenza possibilmente più avanti nel tempo, ricordando di non
considerarla un fenomeno ineluttabile della vecchiaia e quindi un prezzo da
pagare per la nostra eventuale longevità. Pertanto la Scienza Medica, avendo
molti anni a disposizione prima dell’instaurarsi della tragica e definitiva situazione clinica, può mettere in atto dei provvedimenti
diagnostici clinici e strumentali che ne
permettano la scoperta al suo esordio peraltro poco sintomatico (a parte la
presenza di una saltuaria smemoratezza) e insieme predisporre presidi
comportamentali validati sul piano scientifico contro l’evolversi della malattia quali: l’adozione
di una alimentazione corretta “Golden
Standard” per il cervello in associazione
all’esercizio fisico costante, alla pratica di
attività utili per socializzare, di attività cognitive
come letture, ascolto della musica, la soluzione di rebus ed infine di
attività ricreative come il ballo, lo sport,
il gioco e l’ascolto o la visione
di programmi e spettacoli
formativi non stressanti.
Dal punto di vista anatomico
l’elemento che caratterizza la malattia
è la formazione di accumuli (Placche) di una sostanza di natura proteica
chiamata Beta-amiloide che si deposita
tra le cellule nervose inglobando le
relative fibre, dapprima localizzate in un’area del cervello chiamata Ippocampo
che ha un ruolo nel consolidamento della
Memoria a breve e a lungo termine,
quindi anche a livello della corteccia
cerebrale parietale, che è deputata tra
l’altro a fornire l’orientamento temporo-spaziale del paziente. Tale sostanza risulta estremamente
tossica per le suddette cellule nervose
in quanto provoca il rilascio di
sostanze ossidanti che alterano la chimica che presiede alla loro vitalità. La
stessa promuove una modificazione
strutturale di una seconda proteina denominata “Proteina Tau” che distrugge l’impalcatura cellulare
lasciando come esito anomali grovigli cicatriziali. Il risultato è
la riduzione della comunicazione intercellulare
che è alla base dei vari disturbi
presentati dai pazienti.
Sfruttando l’importanza di queste due sostanze come elementi causali si è visto che a scopo diagnostico è possibile
dosarli nel Liquor mediante una semplice puntura lombare; una riduzione della
prima ed un aumento della seconda rappresentano un primo approccio per
formulare la diagnosi. Inoltre poiché
nel 25% dei pazienti la causa è
ereditaria, può essere utile effettuare un test specifico del Dna. Nella forma più
frequente che compare (dopo i 65 anni)
si è scoperto che esiste nel Cromosoma 19 un Gene anomalo denominato ApoE-4
capace di produrre una particolare proteina che unendosi alla Beta-amiloide la
rende più tossica: questo dato genetico può rappresentare un ulteriore campanello d’allarme,
ma non una certezza che la malattia
possa instaurarsi perchè questo gene può essere disattivato con l’esercizio
fisico o con la somministrazione di potenti antiossidanti come la vitamina E
(Neal D. Barnard, 2013)
Un altro modo per diagnosticarre
tale malattia è l’impiego della “Neuro
Imaging”; il cervello può essere sottoposto a scansioni con esami strumentali come la Risonanza Magnetica, la Spect e la Pet:
la prima permette lo studio accurato della Struttura del tessuto cerebrale
evidenziando una riduzione di volume
dell’Ippocampo e gli iniziali depositi
della Beta-amiloide; con la Spect si rileva una riduzione dell’afflusso di sangue e con la Pet una diminuzione del metabolismo a livello della
suddetta area (ambedue segni tipici iniziali di tale malattia).
E’ auspicabile che lo sforzo di sensibilizzazione per far conoscere sempre meglio la Demenza di Alzheimer possa portare ad un suo riscontro diagnostico precoce quando
i danni risultano lievi e quindi compensabili. Purtroppo quando si è verificata
la diffusione in altri distretti
cerebrali per un ritardo di diagnosi ogni tentativo riabilitativo risulta scarsamente efficace.
Oggi poiché non esistono farmaci validi (scarsi i miglioramenti, mai la guarigione)
senza pesanti effetti collaterali è
necessario ricorrere a metodi terapeutici naturali che sono noti da sempre per mantenere in salute il cervello. Faccio riferimento ad un cambio di direzione
dell’alimentazione attualmente orientata sull’uso esagerato di cibi pieni di
grassi saturi (carni e latticini di ogni tipologia e di ogni provenienza) in
quanto risultano svolgere un’attività pro-infiammatoria che rappresenta
un’ulteriore concausa della demenza. L’adozione della Dieta Mediterranea al
contrario rappresenta un buona scelta per limitare i danni di un Alzheimer
incipiente in quanto ricca di Acidi grassi essenziali (gli omega-3 che per il 60% risultano essere i componenti delle
strutture cerebrali), di frutta fresca e
secca e di verdure che contengono tutte le vitamine ben 18 (in particolare: E, B12, B6, Acido folico) e
tutti micronutrienti naturali (ben sedici) come il cromo ,lo zinco,
il rame e molti altri che risultano essenziali per accelerare il metabolismo e la disintossicazione quotidiana mantenendo in perfetto equilibrio tutte le funzioni
cerebrali. Peraltro è necessario bandire, perché non assimilabili, questi ultimi microelementi confezionati in
laboratorio. Mi chiedo come è possibile
oggi alimentandosi in maniera scriteriata vivere in salute? E’ necessaria una dieta più armonizzata con la natura per
impedire o rallentare, se presente, un incipiente declino cognitivo.
Un altro pilastro da adottare per la prevenzione o per impedire
l’aggravamento di questa malattia è
l’Esercizio fisico (almeno un’ora di cammino più volte a settimana); esso migliora la circolazione, la nutrizione del cervello, tenendo anche
sotto controllo la pressione arteriosa, il peso corporeo, oltre ad incrementare la produzione di una sostanza denominata BDNF
(fattore neurotrofico cerebrale) che favorisce la costruzione di nuove sinapsi
e svolge un’azione protettiva e rivitalizzante verso le cellule nervose.
Oltre all’esercizio fisico risulta essenziale anche l’esercizio mentale. L’Informatica per
favorirlo ha messo a punto programmi di addestramento allo scopo di
incrementare la Riserva Cognitiva, un
sistema moderno per rafforzare la
memoria. In breve più nella nostra vita stimoliamo naturalmente o con programmi
adeguati la nostra mente più costruiamo delle interconnessioni cerebrali che
prenderanno il posto di quelle che in futuro saranno perdute in corso di un eventuale deterioramento mentale. Più siamo ricchi di sinapsi più possiamo far
fronte ad un futura disfunzione cerebrale. Non necessita essere dei super
scienziati per avere una Riserva
cognitiva adeguata, basta una base
scolastica pregressa ampliata da vari interessi e da semplici esercizi per
mantenere fluida la nostra memoria e per allargare il nostro sapere. L’inattività
crea la ruggine che non è un termine pleonastico,
ma un fatto reale; nel nostro caso è rappresentata dalla Beta-amiloide.
Il nostro cervello è simile ad un prototipo di
una macchina che lasciato a lungo a
riposo stenta a rimettersi in moto. Ci si salva
dall’Alzheimer soltanto se si coltivano interessi anche al di fuori dell’ambiente di lavoro, se
si rifugge l’isolamento rapportandosi
fattivamente con chi ci vive accanto. Oggi,
soltanto una diagnosi precoce e
l’accettazione di uno stile di vita secondo natura può tenere lontano almeno le
gravi conseguenze di questa malattia; la speranza di tutti è che ulteriori conoscenze possano
rendere il futuro libero dall’Alzheimer, ritenuto fino ad oggi
universalmente un vero e proprio flagello dell’umanità.
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