domenica 11 novembre 2012

in ricordo di meredith

IN RICORDO DI MEREDITH  KERCHER
  Ricorre in questi giorni il quinto anniversario della uccisione della giovane studentessa inglese avvenuta nel centro storico di Perugia  in modo misterioso e che purtroppo due gradi di giudizio del relativo processo non sono stati sufficienti per scoprire tutti gli autori dell’omicidio, il movente dello stesso e le circostanze che lo determinarono. Avendo avuto la possibilità di seguire le varie fasi dell’iter giudiziario sento la necessità di rendere omaggio alla vittima  per la sua giovane età, per la morte prematura, per il dolore immenso  dei genitori e dei fratelli che con dignità non si rassegnano per la sua morte violenta ed immotivata ed anche perché alcuni autori del crimine continuano a rimanere  impuniti.
   Scrivendo  queste note credo di interpretare  il sentimento dei cittadini di Perugia che accolsero la sentenza di secondo grado con indignazione e con rabbia, perché credevano e credono nella colpevolezza dei due fidanzati  Amanda e Raffaele, e  quindi  vivono la vicenda come una grossa ferita non rimarginata in attesa delle decisioni della Corte di Cassazione (25-marzo-2013) per una soluzione giusta  del tragico caso.
Per inciso  una grande parte degli americani è convinta anche oggi della colpevolezza dei due giovani imputati malgrado negli USA al tempo del processo giungevano soltanto notizie filtrate e nettamente di parte dello stesso. Personalmente posso testimoniare che alcune net-work  d’oltre oceano presenti a Perugia nelle pause delle udienze mi chiedevano di rilasciare un’intervista  a patto che io stesso fossi convinto sull’innocenza  soprattutto dell’imputata, altrimenti non si registrava nulla.
Ecco una semplice prova della  disinformazione e della trasmissione dei fatti in una unica direzione. Mi dispiace  sottolineare che la vittima fino ad oggi non è stata onorata nel modo adeguato perché non sono stati presi nella dovuta considerazione alcuni indizi legati all’indagine che avrebbero potuto favorire l’emergere e l’affermarsi della verità; infatti a tutt’oggi si è evidenziata solo quella processuale. A tal proposito ricordo che la grande  scrittrice inglese di thriller Agata Christie affermava che due indizi importanti potevano  costituire una prova. Oggi nell’era del DNA  purtroppo si dà poco  valore  ad essi al fine del raggiungimento della  verità.
L’ivoriano Rudy Guedè, inchiodato da prove schiaccianti, attualmente risulta l’unico colpevole e sconta  in carcere  una condanna definitiva a 16 anni, solo perché strategicamente ha scelto nel suo processo  il rito abbreviato; ma la sentenza che l’ha  condannato recita che l’imputato risulta l’autore della morte di Meredith insieme a  altri soggetti sicuramente presenti nella scena del delitto (a detta degli esperti era tecnicamente impossibile uccidere  la studentessa inglese senza la partecipazione di più  persone).
  Risulta netta la contraddizione della sentenza in Appello che ha assolto i due giovani imputati per non aver commesso il fatto. Peraltro è assodato che  Guedè  li conosceva e che  la sera prima del delitto erano stati insieme a celebrare la festa di Halloween. Mi chiedo quale poteva essere il suo interesse a coinvolgere degli estranei a partecipare al fatto criminoso? Sicuramente non era il modo per alleggerire la sua colpa e quindi la sua eventuale  condanna. In questo caso la coerenza  gli dà  ragione; infatti non si è  smentito nel racconto fatto ai giudici dell’accadimento dei fatti.
   Ciò che ha determinato l’assoluzione dei due fidanzati è stata la dimostrazione,  da parte dei superperiti nominati dalla Corte  (dott.ssa Carla Vecchiotti e dott. Stefano Conti)   di una quantità irrilevante e quindi  non attendibile  del DNA  di  Sollecito   sul gancetto strappato  del reggiseno della vittima,  quello di quest’ultima  sulla lama del coltello e  quello di Amanda sul manico dello stesso, ritenuto la  presunta arma del delitto; sono giunti a questa conclusione dopo aver preso in esame i grafici (i cosiddetti elettroferogrammi)  precedentemente presentati, nel primo grado del processo, dalla biologa della Scientifica di Roma (dott.ssa P. Stefanoni)  che al contrario li  riteneva validi, secondo i protocolli internazionali, per affermare la presenza del Dna degli imputati sicuramente  sugli oggetti in questione. A tal proposito riporto un’affermazione di un notissimo genetista forense  il Prof. G. Novelli che disse al processo che oggi è possibile avere delle sicure diagnosi identificative dal DNA estratto anche  da una sola cellula.  
In breve il giudice togato  accettò  le conclusioni dei periti da loro nominati  che  negavano  la presenza degli imputati sulla scena del delitto e adottò un  principio del  Codice di Diritto Romano che recita: “In dubio pro reo”.
  Per la  gente comune è difficile  pensare che solo il test del DNA  possa rappresentare sempre  la prova regina  come  in questo caso delittuoso in cui non risulta univoco l’esito  delle  due perizie eseguite da diversi  genetisti forensi.  Perché molti indizi, pur molto discutibili  sull’innocenza dei due imputati,  non hanno avuto alcuna importanza nel determinare la sentenza del  secondo grado?
  Nel primo processo sono stati sentiti molti esperti che hanno espresso autorevoli giudizi in tutte le sfumature della scena del delitto e del comportamento degli imputati come: l’appartenenza delle macchie di sangue, il tipo  di proiezione delle stesse  nella  stanza del delitto, le impronte digitali, la  conformazione anatomica dell’avampiede di Sollecito, l’orario della morte della vittima, l’ora dello spegnimento del computer e dei cellulari nella notte del delitto, l’acquisto di una provvista abbondante di un detersivo (varecchina) la  mattina molto presto del 2 novembre  da parte di uno dei due imputati e  che inondò con il suo caratteristico odore la casa del Sig. Sollecito come affermò la polizia, il gridare e il  vociare di più persone nella notte del crimine con fuga relativa lungo una scala metallica antistante la villetta del delitto, la calunnia dell’imputata contro il sig. Lumumba  per la quale fu arrestato per 15 giorni e poi rilasciato perché innocente, l’uso abituale  di droga da parte degli imputati. Questi sono gli indizi che sicuramente meritavano più considerazione nel determinare la sentenza, peraltro quasi  tutti sfavorevoli agli imputati.
   Onestamente dopo questa tragedia, mi  sarei aspettato un comportamento  diverso da parte dei due imputati ancora sub-iudice e dei loro parenti. Ho la sensazione che la pena detentiva invece di averli resi più responsabili, più adulti, più riflessivi, più maturi li abbia spinti ad essere più superficiali (Amanda dopo qualche settimana dalla sentenza ha sentito il bisogno di celebrare la festa di Halloween indossando costumi grotteschi che tutto esprimevano tranne un grande dolore per la scomparsa di Meredith che aveva  definito  una cara amica.
  Per ambedue gli imputati la tragica vicenda   ha scatenato un forte stimolo a realizzare  importanti  business milionari dando alle stampe, con l’aiuto di famosi esperti  del settore, libri di memorie e verità personali a loro favorevoli argomentate ad hoc per risultare essi stessi estranei ai fatti. Al contrario alla famiglia della vittima non è rimasto  che lutto, sofferenze indicibili,  in breve una tragica esistenza  che è propria  di  chi perde una giovane figlia  in maniera violenta e soprattutto senza aver ottenuto fino ad oggi la giustizia che merita. Che contrasto inaccettabile vedere da una parte gli imputati, in particolare Amanda, essere accolti nei loro luoghi di provenienza  come eroi circondati da clamore immeritato, da fotoreporter, richieste  di interviste, promesse di carriera, dall’altra un’accoglienza nella loro patria  dei famigliari e  della salma della povera vittima  senza promozioni mediatiche   e  senza  alcun risarcimento morale e materiale! 
  In questi ultimi giorni  la città di Perugia ha messo in atto una iniziativa  positiva a favore della memoria della  vittima e  sostenuta  dal suo  Sindaco, dall’Agenzia del Diritto allo Studio e dall’Università degli Stranieri istituendo  una Borsa di Studio al nome di Meredith, un modo appropriato per ricordarla a lungo nel mondo degli studenti  al quale lei stessa apparteneva. A parte questo encomiabile gesto l’auspicio di tutti e che la  “Verità Assoluta” possa affermarsi nelle giuste sedi perché solo in tal modo lo spirito di Meredith potrà  trovare la pace e il riposo che merita. Altrimenti non ci rimane che sperare in  una  Giustizia Superiore che non appartiene  a questo mondo,  ma che  sicuramente pareggerà  i conti che la giustizia degli  uomini fino ad oggi  è  stata  incapace a fare.