martedì 18 dicembre 2012

MALATI DI OBESITA': I RIMEDI CONTRO LA PANDEMIA

L’OBESITA’:  LA PANDEMIA  DEL  NUOVO  MILLENIO


L’obesità insieme al sovrappeso rappresentano, nel mondo occidentale, una patologia che per la sua frequenza e la sua diffusione può essere definita una pandemia che colpisce l’essere umano in ogni epoca della sua esistenza, anche in età pediatrica. Se non curata in tempo risulta estremamente grave sul piano prognostico perché, associandosi immancabilmente al diabete 2 dell’adulto,  può causare  a sua volta  gravi affezioni cardio-circolatorie come l’infarto, l’ictus cerebrale, l’ipertensione arteriosa,  l’ insufficienza renale, senza peraltro sottovalutare le ripercussioni psicologiche negative che può subire una persona a causa dell’eccessivo peso.
       Si stima che tale disordine metabolico in Italia interessa circa 10 milioni di persone. Un contributo alla sua insorgenza è sicuramente dato dal cambiamento radicale che ha subito l’alimentazione  negli ultimi decenni a causa di una raffinazione esagerata di alcuni nutrienti  di base da parte dell’industria. L’introduzione di un carico calorico eccessivo associato ad un consumo notevole di carboidrati ha reso possibile alcune alterazioni del nostro metabolismo che hanno portato a sovvertimenti ormonali a loro volta causa del sovrappeso.
       Questi carboidrati, una volta digeriti, passano nel sangue come  zuccheri che stimolano una ghiandola endocrina, il Pancreas, a produrre Insulina. Questo ormone ha la proprietà di legarsi a determinate strutture delle cellule, denominate Recettori Tessutali, che permettono la penetrazione dello zucchero nel loro interno. E’ interessante sottolineare che questi recettori, sono presenti su tutte le superfici cellulari, ma in particolar modo a livello delle fibre muscolari, nel fegato e nel tessuto adiposo. Quando lo zucchero presente nel sangue risulta elevato e si è in presenza di un ridotto numero di recettori tessutali, evenienza che spiegherò  più avanti, il pancreas per  reazione produrrà una maggiore quantità di insulina. Questo surplus non favorirà l’ingresso dello zucchero negli organi di deposito (muscoli e fegato), ma permetterà la sua penetrazione  nel tessuto adiposo che lo trasformerà in grasso. Quando l’insulina risulta biologicamente inefficace si è in presenza di una Resistenza Insulinica.  
      Pertanto un eccesso di insulina rappresenta il motore biochimico per l’instaurarsi di una eccedenza più o memo grave del peso corporeo.
   A prescindere dall’importanza del numero di questi recettori cellulari, il blocco funzionale dell’insulina può essere accentuato anche dalla riduzione del cosiddetto F.T.G. o fattore di tolleranza dello zucchero.
         Questa sostanza,  poco usata nel trattamento del diabete, formata da un micro-elemento denominato Cromo incorporato in una struttura organica, non è un sostitutivo dell’insulina, ma quest’ultima risulta  inefficace in sua assenza .
         In molti soggetti  mancando il cromo si può instaurare una forma frequente di diabete 2 e cioè il tipo insulino-indipendente  associato ad un eccesso di peso corporeo. Poiché tale elemento è presente negli alimenti integrali è consigliabile un loro uso quotidiano.
          A questo punto ci si può chiedere perché, pur mangiando la stessa quantità di carboidrati, alcune persone rimangono magre ed altre possono incrementare il loro peso? La spiegazione è semplice.
Un soggetto che ha uno sviluppo muscolare adeguato, perché conduce una vita attiva, possiede a livello muscolare molti Recettori cellulari che possono captare l’insulina e quindi permettere allo zucchero introdotto con l’alimentazione di depositarsi all’interno delle cellule muscolari  e del fegato come glicogeno o zucchero di riserva pronto per essere utilizzato. Al contrario in un soggetto con un apparato muscolare atonico (a causa della sua sedentarietà), e quindi scarsamente dotato di recettori dell’insulina, lo zucchero presente nel sangue sarà dirottato all’interno del tessuto adiposo le cui cellule lo trasformeranno in grasso. Si evince pertanto che l’ingresso dello zucchero nelle cellule muscolari è direttamente proporzionale allo stato trofico dei muscoli.
        Quindi risulta evidente che per evitare alti livelli di insulina è fondamentale la pratica dell’esercizio fisico o quanto meno l’adozione di uno stile di vita più attivo (scarso utilizzo dell’auto, uso limitato dell’ascensore e delle scale mobili, meno ore davanti alla TV e al computer). Alcuni studi  permettono di affermare che, anche in presenza di un aumento esagerato di insulina , l’esercizio fisico favorisce l’utilizzo dei grassi di deposito e quindi la riduzione di peso.
In definitiva l’attività fisica regolare incrementa il numero e l’efficienza dei cosiddetti recettori tissutali dell’insulina e di conseguenza migliora l’azione biologica di questo ormone impedendo dei picchi elevati della glicemia e quindi il diabete e l’obesità. In tal modo si ha un aumento della massa muscolare e una riduzione della massa grassa, ciò si traduce in un maggior equilibrio metabolico dell’organismo. Affinche’ l’esercizio fisico possa fornire tali effetti deve essere praticato per almeno un’ora più volte alla settimana. E’ stato dimostrato, da studi compiuti in Svezia, che una tale frequenza fa aumentare una sostanza chiamata Lipasi sensitiva che svolge una funzione di “Brucia Grassi” per circa 12 ore dal termine dell’attività fisica. Un’altra prerogativa è che durante lo sforzo la frequenza cardiaca non superi i 140 battiti al minuto senza eccessiva difficoltà respiratoria; in poche parole deve svolgersi in aerobiosi. In conclusione l’esercizio non deve trasformarsi in una performance di tipo competitivo, pena la riduzione dei benefici sopraelencati.
Tutti gli studi sull’argomento confermano  che ciò che distingue le persone magre è l’abitudine a camminare; infatti quelle  snelle percorrono ogni giorno alcuni chilometri, mentre quelle obese generalmente percorrono soltanto poche centinaia di metri.
A questo punto, per meglio comprendere l’insorgenza dell’obesità, vorrei sottolineare che il nostro tessuto adiposo viscerale a localizzazione addominale volgarmente detto “Pancia” non svolge soltanto  una funzione  di deposito, ma al contrario rappresenta un organo ormonale attivo a tutti gli effetti che reagisce al suo incremento volumetrico. In che maniera? Producendo appunto degli ormoni regolatori; i più conosciuti e studiati sono chiamati Leptina e Adiponectina.
        Il primo viene prodotto dalle cellule adipose quando incomincia ad aumentare il loro contenuto di grassi; tale ormone comunica al cervello che i depositi sono pieni; come reazione  il centro della fame  riduce l’appetito. In questo modo si blocca l’ulteriore accumulo.
   Purtroppo in alcuni soggetti questo meccanismo di regolazione è ridotto per la presenza di una resistenza congenita o acquisita all’azione della Leptina. In questo modo si può spiegare l’insuccesso di un trattamento dietetico inizialmente normocalorico.  Il secondo ormone  e cioè l’Adiponectina, induce  un maggiore  effetto lipolitico (Sciogligrassi) a carico dei depositi  soprattutto durante l’attività fisica migliorando nel contempo l’azione dell’insulina. Si può definire pertanto un acceleratore del “ dimagramento a cascata”.
E’ possibile diagnosticare correttamente uno stato di sovrappeso?
           Sul piano clinico esiste un segno obiettivabile e cioè la circonferenza del girovita; questo dato nell’uomo in sovrappeso deve superare i 98 centimetri, nella donna 88 centimetri.
   Poiché la chiave di volta di questa patologia è l’eccesso di insulina, dal punto di vista laboratoristico risulta  importante la valutazione  dell’insulina a digiuno che deve essere superiore a 10 mcg/ml, associata ad una glicemia superiore a 100mg%.
Un altro dato per valutare indirettamente  l’iper-insulinemia a digiuno è il rapporto tra Trigliceridi e HDL (la frazione del colesterolo cosiddetto buono) che nel soggetto in sovrappeso deve essere superiore a 2. La validità di questo esame è giustificato  dal fatto che un’ insulinemia elevata incrementa la quantità dei trigliceridi e la quantità di colesterolo prodotta dal fegato. Per inciso, a conferma di ciò, Barry Sears studioso della  cosiddetta “ Dieta a Zona”, dopo numerosi studi è arrivato alla conclusione che  un soggetto gode ottima salute, almeno sul piano dell’equilibrio metabolico, quando questo rapporto non supera il valore di 2.
     Quali sono i cibi che innescano il meccanismo che porta al sovrappeso?
Senza dubbio i cibi raffinati(non integrali) ad alto indice glicemico (zucchero facilmente assorbibile) e con alto indice insulinico (produzione esagerata di insulina) e cioè i prodotti derivati dalla farina bianca e dallo zucchero bianco (vedi : merendine varie, barrette di cioccolato, dolciumi di tutti i tipi, spuntini vari, bevande ipercaloriche che vanno sotto il nome di “soft drink” tanto propagandate dai Media radio-televisivi  nelle ore di massimo ascolto!). Anche l’assunzione di poche fibre con la dieta accentua il meccanismo di assorbimento degli zuccheri. Inoltre è imperativa la riduzione , perché rendono l’insulina meno efficace, dei grassi saturi (burro, margarina, carni rosse, oli idrogenati), presenti soprattutto nei cosiddetti “cibi spazzatura” venduti in alcuni noti fast-food (frequentati purtroppo anche dai bambini).
   Al contrario i cibi che ostacolano l’obesità sono: i carboidrati complessi, i cereali integrali, i legumi, le verdure, la frutta, i grassi vegetali, l’olio di oliva, i semi di soia ,di lino ,di girasole(ricchi di acidi grassi essenziali, utili per le funzioni delle strutture cellulari), la frutta secca, piccole quantità di carne bianca povera in grassi saturi (tacchino, pollo,  coniglio). Sostanzialmente una dieta vegetariana con qualche piccola eccezione….
     Dal punto di vista quantitativo il numero delle calorie, per prevenire un sovrappeso, dovrebbero attestarsi nelle persone giovani (dopo i 20 anni) tra 1000 e 1500 a seconda delle loro attività fisiche, tra i meno giovani tra 1400 e 1800, tra le persone della terza età intorno a 1200.
  Escludendo le persone che svolgono un’attività fisica ed un lavoro pesante, un  aumento di queste quantità caloriche  purtroppo rappresenta una causa certa di sovrappeso.
    Da quanto esposto si può capire perché anche una dieta corretta, può fallire l’obiettivo di ridurre il peso. Per ottenere dei risultati deve conformarsi alle leggi codificate della fisiologia umana in tema di alimentazione in associazione ad uno stile di vita salutare. Non si deve dare la preferenza  soltanto ad un nutrimento, trascurando gli altri perché l’insuccesso e le complicanze sono assicurate( vedi la dieta iperproteica). Al contrario deve essere armonizzata e possibilmente formata da cibi  naturali. Il segreto è saperli miscelare tenendo conto delle caratteristiche psicofisiche del paziente, del suo tipo di lavoro,del suo grado di sovrappeso, della sua età.
Comunque la formula migliore  che si può suggerire è la seguente: Riduzione complessiva delle calorie introdotte rispettando le proporzioni: 40% di calorie sotto forma di carboidrati, 30% sotto forma di grassi possibilmente insaturi, 30%  sotto forma di proteine, senza trascurare l’importanza degli oligoelementi quali: Zinco, Cromo, Magnesio che rendono più fisiologica e più efficace  l’azione dell’insulina.
E’ fondamentale abbinare alla dieta il movimento regolare,  non intenso e perché no piacevole e divertente (come può essere ad esempio anche la pratica del ballo) che agisce come regolatore dei nostri ormoni e soprattutto come mezzo per eliminare dal nostro organismo le calorie in eccesso che spesso imprigionano il nostro corpo in una gabbia di chili di troppo che non ci permettono di essere liberi e sani come la nostra natura reclama.  

I FUNGHI CROCE E DELIZIA DELLA NOSTRA ALIMENTAZUìIONE

I  FUNGHI CROCE E DELIZIA DELLA NOSTRA ALIMENTAZIONE

Le notizie diffuse dai media in questi ultimi giorni e cioè la morte di tre componenti di una famiglia residente a Cecina (Pisa), di altri due coniugi originari della Lomellina (Pavia) in condizioni disperate in attesa di trapianto epatico e l’effettuazione di due trapianti di fegato a Milano e a Bergamo quest’ultimo su un bambino di due anni colpiti da gravi epatiti fulminanti scatenate dall’ingestione improvvida di funghi velenosi, ha destato in me una particolare impressione tale da spingermi a delineare la problematica sulla pericolosità concreta dell’uso di alcuni tipi di questo alimento, pericolosità peraltro un po’ trascurata almeno sul piano divulgativo e che soltanto in alcuni periodi  dell’anno si attualizza fornendo notizie tragiche che una conoscenza appropriata del problema potrebbe scongiurare. Dagli accadimenti di questi ultimi giorni si conferma l’assioma che di funghi si muore oggi come in passato.
   Tali frutti che la natura ci mette a disposizione sono organismi vegetali atipici che crescono in centinaia di forme e colori e che generano un equilibrio ecologico fondamentale per i nostri boschi.
   La raccolta dei funghi, per molti appassionati, rappresenta una specie di sport che dovrebbe  permettere di far festa dopo una loro adeguata  preparazione culinaria; purtroppo non è sempre così perché  alcuni tipi sono commestibili, mentre altri sono velenosi anche in  piccole quantità  specialmente in  età pediatrica, per inciso ai bambini dovrebbero essere proibiti anche quelli commestibili.
Ecco l’importanza di far selezionare ciò che si raccoglie, indiscriminatamente, da persone esperte nella figura di un Micologo che molte ASL in tutta Italia mettono a disposizione; infatti fidarsi delle proprie certezze conoscitive può costare molto caro per quanto riguarda la nostra vita.
Per rendere l’argomento più  chiaro trovo utile suddividere i vari tipi di funghi in tre classi: I funghi commestibili,  i funghi velenosi e i funghi mortali. I secondi quasi  sempre  causano disturbi subito dopo l’ingestione   (breve periodo  di latenza),  quelli mortali  scatenano sintomi dopo 6  e fino a 36-48 ore   (lungo periodo di latenza).  Generalmente quelli a breve latenza  sono i meno pericolosi perché le loro tossine non sono troppo virulente soprattutto se è possibile mettere in atto dei presidi terapeutici come la lavanda gastrica, la somministrazione di carbone vegetale che rende inefficiente la tossina e l’infusione di una notevole quantità di liquidi appropriati per alcuni giorni. Al contrario quelli mortali a lunga latenza (Amanita Phalloides, Amanita Verna, Amanita Virosa e Cortinarius Orellanus)   sono dotati  di sostanze tossiche pericolose in quanto hanno un potere distruttivo su organi vitali come il fegato ( i primi tre) e il rene (il quarto) (con perdita definitiva della funzione renale a lunga distanza  dall’ingestione).  Il ritardo della loro  manifestazione sintomatologica  fa sì che gli interventi curativi si  mettono  in atto quando ormai i principi tossici hanno invaso l’organismo e il materiale ingerito è stato assimilato. Quando le tossine hanno completato i danni sugli organi bersaglio l’exitus  purtroppo è la regola a meno che non si abbia la fortuna di avere la disponibilità di un organo compatibile da trapiantare. Ecco l’importanza della tempestività delle cure mediche!
Mi preme sottolineare che per tutti i funghi velenosi sia quelli a breve latenza sia quelli a lunga latenza i sintomi iniziali sono quasi sempre a carico dell’apparato gastro-enterico (nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, sete intensa, iper-salivazione). In questa fase il ricovero deve essere immediato. I presidi terapeutici inizialmente sono i medesimi.
    Nel caso di una intossicazione da funghi a breve latenza la guarigione è quasi la regola,  nel caso di quelli a lunga latenza divenendo più preoccupanti e impegnativi i segni clinici l’intervento medico deve essere più intensivo e più invasivo per cercare di ridurre la  prognosi infausta.
E’ necessario,  qualora fosse possibile,  ricercare con l’aiuto del laboratorio (con il metodo Elisa) la presenza della tossina specifica (l’Amanitina o l’Orellina)  esaminando un piccolo campione di urine prima dell’inizio di qualsiasi trattamento; la positività di tale test permette al medico di adeguare la terapia al caso in questione   come ad esempio  l’utilizzazione di un mezzo terapeutico sofisticato come ad esempio il  M.A.R.S.  più semplicemente detto “Fegato Artificiale” che ha la capacità di rimuovere sostanze tossiche in un fegato in tilt in attesa di una ripresa di funzione o di un trapianto,   senza peraltro  tralasciare l’infusione di grandi quantità di liquidi appropriati in associazione ai mezzi terapeutici basilari sopracitati per l’eliminazione del cibo tossico.
     In questo tipo di intossicazione sarebbe importante avere anche  a disposizione un antidoto specifico per contrastare l’azione della tossina in questione.
Consultando soprattutto la letteratura tedesca a tal proposito ho avuto modo di scoprire che i presidi d’urgenza di medicina intensiva degli ospedali tedeschi hanno in dotazione una sostanza ricavata da una pianta millenaria  il “Cardo Mariano” denominata Silimarina anti-epatotossico per eccellenza (il cui nome commerciale è “Legalon”)  che iniettata precocemente  per via endovenosa in dosi prestabilite in base al peso del paziente e per la durata di 3-4 giorni, riduce di molto la mortalità. Secondo il sito tedesco “aponet.de” nell’intossicazione più grave da “amanita falloides,  se  trattata con Silimarina, la mortalità si riduce dal 30% a meno del 10%. Il meccanismo di azione, verificato anche sperimentalmente, dà luogo ad un blocco a livello di  particolari recettori della tossina presenti sulle membrane delle cellule epatiche impedendone l’ingresso e quindi i danni relativi (Hichino H. e coll.: Planta Medica, 248-250, 1984;  Albrecht M., Frerick H.: Z. Klin. Med.47, 87-92, 1992).
Questa sostanza svolge inoltre una notevole azione antiossidante,  dieci volte superiore a quella offerta dalla vitamina E, molto utile per ridurre il danno dell’organo interessato, associata ad un incremento della sintesi proteica fondamentale per la ricostituzione del patrimonio cellulare epatico.
  Ho chiesto ai responsabili di alcuni presidi ospedalieri d’urgenza italiani se utilizzavano  la Silimarina in casi di intossicazione da funghi,  la risposta è stata negativa perché non conoscendola  non avevano alcuna esperienza nel merito. La proposta terapeutica offerta dai medici rianimatori tedeschi, data l’efficacia e l’assenza di pericolosi effetti collaterali,  dovrebbe essere accolta  dai colleghi italiani anche perché non si hanno altri antidoti sicuri a disposizione.
  Poiché, come si è visto,  le terapie messe in atto a tutt’oggi risultano efficaci ma non sempre, le armi  vincenti  come in altre patologie rimangono  la prevenzione e la precocità dell’intervento medico.
A tal proposito bisogna considerare i funghi frequenti “mine anti-uomo”   e di conseguenza evitare a tutti i costi il comportamento “fai da te” di fronte ad una ricca raccolta degli stessi (in due città come Empoli e Varese si sono verificati nelle ultime settimane complessivamente 100 casi di avvelenamenti per fortuna non mortali) ; pertanto  è necessaria una corretta valutazione di un esperto prima di accingersi a degustarli. Se dopo un lauto pranzo ci fosse  il sospetto  di aver ingerito materiale fungino anche in piccola quantità e dovessero comparire sintomi acuti digestivi è fondamentale consultare un Pronto Soccorso portando con sé , quando è possibile, un residuo del cibo sospetto per eliminare il dubbio sulla  sua natura  con l’aiuto  di un micologo  disponibile  per iniziare eventualmente  un trattamento adeguato senza ritardi ed incertezze, perché il successo della cura  sta  nella sua precocità.
  Da quanto sopradetto  risulta auspicabile che l’adozione di adeguati percorsi conoscitivi,  comportamentali e preventivi per quanto riguarda l’uso dei funghi a tavola   possa allontanare lo spettro dei gravi rischi a cui si può andare incontro e nello stesso tempo lasciare intatto il piacere di degustarli con serenità  come cibo conviviale per eccellenza. 
        
      



domenica 11 novembre 2012

in ricordo di meredith

IN RICORDO DI MEREDITH  KERCHER
  Ricorre in questi giorni il quinto anniversario della uccisione della giovane studentessa inglese avvenuta nel centro storico di Perugia  in modo misterioso e che purtroppo due gradi di giudizio del relativo processo non sono stati sufficienti per scoprire tutti gli autori dell’omicidio, il movente dello stesso e le circostanze che lo determinarono. Avendo avuto la possibilità di seguire le varie fasi dell’iter giudiziario sento la necessità di rendere omaggio alla vittima  per la sua giovane età, per la morte prematura, per il dolore immenso  dei genitori e dei fratelli che con dignità non si rassegnano per la sua morte violenta ed immotivata ed anche perché alcuni autori del crimine continuano a rimanere  impuniti.
   Scrivendo  queste note credo di interpretare  il sentimento dei cittadini di Perugia che accolsero la sentenza di secondo grado con indignazione e con rabbia, perché credevano e credono nella colpevolezza dei due fidanzati  Amanda e Raffaele, e  quindi  vivono la vicenda come una grossa ferita non rimarginata in attesa delle decisioni della Corte di Cassazione (25-marzo-2013) per una soluzione giusta  del tragico caso.
Per inciso  una grande parte degli americani è convinta anche oggi della colpevolezza dei due giovani imputati malgrado negli USA al tempo del processo giungevano soltanto notizie filtrate e nettamente di parte dello stesso. Personalmente posso testimoniare che alcune net-work  d’oltre oceano presenti a Perugia nelle pause delle udienze mi chiedevano di rilasciare un’intervista  a patto che io stesso fossi convinto sull’innocenza  soprattutto dell’imputata, altrimenti non si registrava nulla.
Ecco una semplice prova della  disinformazione e della trasmissione dei fatti in una unica direzione. Mi dispiace  sottolineare che la vittima fino ad oggi non è stata onorata nel modo adeguato perché non sono stati presi nella dovuta considerazione alcuni indizi legati all’indagine che avrebbero potuto favorire l’emergere e l’affermarsi della verità; infatti a tutt’oggi si è evidenziata solo quella processuale. A tal proposito ricordo che la grande  scrittrice inglese di thriller Agata Christie affermava che due indizi importanti potevano  costituire una prova. Oggi nell’era del DNA  purtroppo si dà poco  valore  ad essi al fine del raggiungimento della  verità.
L’ivoriano Rudy Guedè, inchiodato da prove schiaccianti, attualmente risulta l’unico colpevole e sconta  in carcere  una condanna definitiva a 16 anni, solo perché strategicamente ha scelto nel suo processo  il rito abbreviato; ma la sentenza che l’ha  condannato recita che l’imputato risulta l’autore della morte di Meredith insieme a  altri soggetti sicuramente presenti nella scena del delitto (a detta degli esperti era tecnicamente impossibile uccidere  la studentessa inglese senza la partecipazione di più  persone).
  Risulta netta la contraddizione della sentenza in Appello che ha assolto i due giovani imputati per non aver commesso il fatto. Peraltro è assodato che  Guedè  li conosceva e che  la sera prima del delitto erano stati insieme a celebrare la festa di Halloween. Mi chiedo quale poteva essere il suo interesse a coinvolgere degli estranei a partecipare al fatto criminoso? Sicuramente non era il modo per alleggerire la sua colpa e quindi la sua eventuale  condanna. In questo caso la coerenza  gli dà  ragione; infatti non si è  smentito nel racconto fatto ai giudici dell’accadimento dei fatti.
   Ciò che ha determinato l’assoluzione dei due fidanzati è stata la dimostrazione,  da parte dei superperiti nominati dalla Corte  (dott.ssa Carla Vecchiotti e dott. Stefano Conti)   di una quantità irrilevante e quindi  non attendibile  del DNA  di  Sollecito   sul gancetto strappato  del reggiseno della vittima,  quello di quest’ultima  sulla lama del coltello e  quello di Amanda sul manico dello stesso, ritenuto la  presunta arma del delitto; sono giunti a questa conclusione dopo aver preso in esame i grafici (i cosiddetti elettroferogrammi)  precedentemente presentati, nel primo grado del processo, dalla biologa della Scientifica di Roma (dott.ssa P. Stefanoni)  che al contrario li  riteneva validi, secondo i protocolli internazionali, per affermare la presenza del Dna degli imputati sicuramente  sugli oggetti in questione. A tal proposito riporto un’affermazione di un notissimo genetista forense  il Prof. G. Novelli che disse al processo che oggi è possibile avere delle sicure diagnosi identificative dal DNA estratto anche  da una sola cellula.  
In breve il giudice togato  accettò  le conclusioni dei periti da loro nominati  che  negavano  la presenza degli imputati sulla scena del delitto e adottò un  principio del  Codice di Diritto Romano che recita: “In dubio pro reo”.
  Per la  gente comune è difficile  pensare che solo il test del DNA  possa rappresentare sempre  la prova regina  come  in questo caso delittuoso in cui non risulta univoco l’esito  delle  due perizie eseguite da diversi  genetisti forensi.  Perché molti indizi, pur molto discutibili  sull’innocenza dei due imputati,  non hanno avuto alcuna importanza nel determinare la sentenza del  secondo grado?
  Nel primo processo sono stati sentiti molti esperti che hanno espresso autorevoli giudizi in tutte le sfumature della scena del delitto e del comportamento degli imputati come: l’appartenenza delle macchie di sangue, il tipo  di proiezione delle stesse  nella  stanza del delitto, le impronte digitali, la  conformazione anatomica dell’avampiede di Sollecito, l’orario della morte della vittima, l’ora dello spegnimento del computer e dei cellulari nella notte del delitto, l’acquisto di una provvista abbondante di un detersivo (varecchina) la  mattina molto presto del 2 novembre  da parte di uno dei due imputati e  che inondò con il suo caratteristico odore la casa del Sig. Sollecito come affermò la polizia, il gridare e il  vociare di più persone nella notte del crimine con fuga relativa lungo una scala metallica antistante la villetta del delitto, la calunnia dell’imputata contro il sig. Lumumba  per la quale fu arrestato per 15 giorni e poi rilasciato perché innocente, l’uso abituale  di droga da parte degli imputati. Questi sono gli indizi che sicuramente meritavano più considerazione nel determinare la sentenza, peraltro quasi  tutti sfavorevoli agli imputati.
   Onestamente dopo questa tragedia, mi  sarei aspettato un comportamento  diverso da parte dei due imputati ancora sub-iudice e dei loro parenti. Ho la sensazione che la pena detentiva invece di averli resi più responsabili, più adulti, più riflessivi, più maturi li abbia spinti ad essere più superficiali (Amanda dopo qualche settimana dalla sentenza ha sentito il bisogno di celebrare la festa di Halloween indossando costumi grotteschi che tutto esprimevano tranne un grande dolore per la scomparsa di Meredith che aveva  definito  una cara amica.
  Per ambedue gli imputati la tragica vicenda   ha scatenato un forte stimolo a realizzare  importanti  business milionari dando alle stampe, con l’aiuto di famosi esperti  del settore, libri di memorie e verità personali a loro favorevoli argomentate ad hoc per risultare essi stessi estranei ai fatti. Al contrario alla famiglia della vittima non è rimasto  che lutto, sofferenze indicibili,  in breve una tragica esistenza  che è propria  di  chi perde una giovane figlia  in maniera violenta e soprattutto senza aver ottenuto fino ad oggi la giustizia che merita. Che contrasto inaccettabile vedere da una parte gli imputati, in particolare Amanda, essere accolti nei loro luoghi di provenienza  come eroi circondati da clamore immeritato, da fotoreporter, richieste  di interviste, promesse di carriera, dall’altra un’accoglienza nella loro patria  dei famigliari e  della salma della povera vittima  senza promozioni mediatiche   e  senza  alcun risarcimento morale e materiale! 
  In questi ultimi giorni  la città di Perugia ha messo in atto una iniziativa  positiva a favore della memoria della  vittima e  sostenuta  dal suo  Sindaco, dall’Agenzia del Diritto allo Studio e dall’Università degli Stranieri istituendo  una Borsa di Studio al nome di Meredith, un modo appropriato per ricordarla a lungo nel mondo degli studenti  al quale lei stessa apparteneva. A parte questo encomiabile gesto l’auspicio di tutti e che la  “Verità Assoluta” possa affermarsi nelle giuste sedi perché solo in tal modo lo spirito di Meredith potrà  trovare la pace e il riposo che merita. Altrimenti non ci rimane che sperare in  una  Giustizia Superiore che non appartiene  a questo mondo,  ma che  sicuramente pareggerà  i conti che la giustizia degli  uomini fino ad oggi  è  stata  incapace a fare.
         


venerdì 2 marzo 2012

L’ALIMENTAZIONE NATURALE NELLA PREVENZIONE DEL CANCRO

Il tumore rappresenta la seconda causa di mortalità nei Paesi industrializzati.  Nel 2011 il numero dei nuovi casi in Italia è stato di circa 360.000 (200.000 a carico del sesso maschile, 160.000 per quello femminile). Secondo gli esperti tali numeri sono destinati ad aumentare.
Non  è nota  la causa certa del cancro, al contrario conosciamo molto bene i fattori che lo favoriscono e  che se fossero eliminati darebbero luogo ad una riduzione di questa malattia almeno dell’80%. Essi sono: il tabagismo, l’alcool, l’assenza di attività fisica e conseguentemente il sovrappeso, le radiazioni, alcuni virus (in particolare quelli dell’epatite e quello che causa il cancro del collo uterino),  gli inquinanti diffusi nell’ambiente in cui viviamo (vedi i pesticidi, le polveri sottili), i  farmaci, come alcuni  chemioterapici, che annullano le nostre difese immunitarie e soltanto in un ristretto numero di situazioni  possono risultare utili  e ultima in ordine di progressione, ma non per  importanza,  l’ALIMENTAZIONE.  Anche Ippocrate, universalmente riconosciuto come  il padre della medicina,   raccomandava di considerare  il cibo come un farmaco. Purtroppo anche oggi, nella maggior parte dei casi,  le nostre  prescrizioni  mediche  si basano  su una lista di farmaci più o meno efficaci e si  trascura di sottolineare l’importanza del  potere  curativo di alcuni alimenti  e  quello  distruttivo  di molti altri.
   Per cercare di invertire questa tendenza è necessario riflettere sulle caratteristiche delle  sostanze con le quali ci alimentiamo.
Sappiamo per certo che i cibi di derivazione animale,  consumati  quotidianamente, come tutte le carni in particolare quelle rosse, gli insaccati , il latte e tutti i suoi  derivati, a causa del loro alto  contenuto in proteine, in grassi  saturi e in colesterolo   forniscono all’organismo sostanze inadatte dal punto di vista salutistico, anche perché provengono da animali allevati in batteria quindi impediti nel loro movimento fisiologico, senza luce naturale, nutriti con mangimi artificiali o con granaglie ricche in grassi omega-6 (nocivi in alte quantità) e con farmaci come i corticosteroidei con il solo  scopo di incrementare il loro peso per fini esclusivamente commerciali. Inoltre per quanto riguarda la carne si sa che contiene numerose sostanze tossiche  derivate dal metabolismo anaerobico dei microbi della putrefazione  che peraltro  danno  luogo  alla  frollatura, processo importante per renderla  più tenera e quindi più commericiabile; (definirei la frollatura come una putrefazione sotto controllo);   per tale motivo  il fegato essendo impegnato al massimo grado  nel tentativo di disintossicarci da queste sostanze proteiche innaturali e tossiche   è costretto a trascurare la disattivazione di tutte le  sostanze cancerogene contemporaneamente presenti nel cibo, dovute al tipo di cottura (alla brace) come le nitrosamine, le amine eterocicliche;  i nitriti e i nitrati  utilizzati per la conservazione ed  anche  per dare a molti tipi di carne quel colore  di freschezza  rosso-vivo,  l’acrilamide  prodotta in corso di frittura, l’aflatossina B1 (il prodotto di un fungo che cresce  nella farina macinata e stagionata). Riporto, come esempio di quanto detto, l’esperienza  di uno scienziato americano Thomas Colin Campbell  che in un suo studio, esemplare per metodologia,  durato circa 20 anni e denominato “China Study” svoltosi in Cina  con la collaborazione anche di studiosi locali e terminato  nel 2005,  giunge alla conclusione che, a parità di presenza di sostanze cancerogene  nell’organismo,  se ci si limita all’ingestione quotidiana di proteine di origine animale soltanto  nella quantità del 5%  delle calorie totali  il cancro si può sviluppare, a parità di altre concause,  soltanto in un piccolissimo numero di casi;  il contrario si verifica  quando  la quantità somministrata è  al di sopra di questa percentuale. Da questi studi emerge anche l’evenienza che, quando il tumore si trova nella fase iniziale di  focolaio molto iniziale, l’abolizione dell’introduzione di cibi di origine animale può dare luogo ad un stop della  sua crescita. Questo risultato rappresenta la prova lampante della pericolosità di questo tipo di alimentazione. Faccio notare che queste conclusioni ottenute in laboratorio sono state confermate totalmente sull’uomo cinese e americano (popolazioni  scelte perché hanno  stili  alimentari alquanto diversi).
  Secondo le risultanze di questo studio anche  la presenza dei grassi saturi e del colesterolo  ha una rilevanza importante ai fini dell’insorgenza del cancro. I grassi saturi per le loro caratteristiche chimiche   creano depositi addominali e viscerali di tessuto adiposo che risultano  pericolosi dal punto di vista metabolico perché tra l’altro rendono meno attiva l’insulina (resistenza all’insulina) con conseguente  incremento reattivo  della stessa, da parte del pancreas, da cui deriva uno stimolo anomalo sulla  proliferazione cellulare.  Anche l’eccesso  di colesterolo può avere un’influenza sull’insorgenza del cancro;  prima di tutto perché è un precursore degli  ormoni steroidei (androgeni ed estrogeni) che svolgono un’azione determinante  per la crescita di alcuni tumori; secondo  perché le cellule tumorali sono affamate di colesterolo e quindi metabolizzandolo, rilasciano sostanze che comportano una riduzione della risposta immunitaria antitumorale (Nature Medecine- 2006). Anche il latte e i suoi derivati oltre ad essere molto ricchi di proteine animali, secondo studi recenti,  innalzano  i livelli di un ormone denominato IGF-1 (Insulin-like)  che aumenta di molto i rischi in modo particolare per i tumori della mammella, dell’ovaio, della prostata, proprio perché essendo un ormone della crescita favorisce la proliferazione delle cellule proprie di questi organi; infatti per la sua pericolosità, sul piano finalistico, dopo l’adolescenza cessa la produzione naturale dell’ormone IGF-1 da parte dell’organismo.  A questo punto desidero fare delle riflessioni su quale alimentazione può essere determinante per ridurre  l’insorgenza del tumore o per frenarne la crescita.
Sono convinto, dopo aver controllato numerosi studi in proposito,  che  è obbligatorio adottare, senza esitazione, una dieta vegetale. Questa  si basa sull’uso:  di cibi naturali, possibilmente biologici, come frutta, verdura, legumi di ogni tipo, carboidrati complessi non raffinati dall’industria  di cui sono fatti la pasta, il pane, il riso integrali;  di zuccheri non raffinati o ancora meglio di dolcificanti naturali,  di olio di oliva, olio  di lino, di girasole, questi ultimi due estratti a freddo per evitare modificazioni nocive apportate dal calore (produzione di acidi grassi-trans)  e  che,  insieme alla frutta secca,  risultano ricchi di grassi omega-3 e omega-6, presenti nel giusto rapporto 1 a 4, e che rappresentano dei rivitalizzanti del Sistema Immunitario,  dei fattori antinfiammatori e dei potenti regolatori della nostra circolazione. L’aggiunta non frequente  di pesce di piccola taglia  possibilmente non inquinato e nella dose corretta tale da non superare il 5%, come proteine, delle calorie totali giornaliere  può completare la nostra alimentazione  anticancro. L’insieme dei cibi sopra riportati sono completi sul piano nutrizionale  e non comportano l’uso di qualsiasi integratore aggiuntivo. Per sfatare una idea preconcetta di quanto detto  riporto,   come esempio il contenuto di Ferro e quello del Calcio rispettivamente negli alimenti naturali e in quelli di origine animale prendendo in considerazione la quantità contenuta in 500 calorie di alimenti: Fe=20 mg, Fe=2mg; Ca=525, Ca=212).  Ciò ci fa ricredere su molti nostri pregiudizi nel merito. Questo sistema di alimentazione  sicuramente è un modo efficace per allontanare lo spauracchio  del secolo.  In attesa dei progressi ulteriori che la scienza medica  farà in questo campo godiamoci quanto Madre Natura con sapienza infinita  ci fornisce negli alimenti naturali possibilmente senza apportare modificazioni e raffinazioni particolari che nel tempo si sono dimostrate commercialmente valide , ma salutisticamente portatrici di disastri di incalcolabile gravità.

venerdì 27 gennaio 2012

Lo zucchero bianco nutre il cancro

Il  Genoma  umano  si  è evoluto  in un arco lunghissimo di tempo  di migliaia di anni  quando si consumavano soltanto 2 chilogrammi di zucchero, a testa  all'anno,  sotto forma di miele selvatico; da questa quantità, con il cambiamento delle nostre abitudini alimentari,  siamo passati  alla fine del secolo scorso  a circa 70 Kg. di zucchero più o meno raffinato dall'industria.
Lo scienziato tedesco Otto Warburg , Premio Nobel per la Medicina della fine degli anni '50,  scoprì  che il metabolismo e quindi la crescita dei tumori era strettamente legato al suo consumo  di zucchero raffinato. Pensate che la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), utilizzata per svelare la presenza di lesioni tumorali,  rileva aree del nostro organismo dove è prioritario il consumo di zucchero.

giovedì 19 gennaio 2012

CONSIDERAZIONI SULLA CARNE

Prima di tutto la natura ci dice che la carne non è assolutamente un cibo per l’uomo perché  la nostra conformazione anatomica della bocca, il nostro tipo di masticazione, il nostro apparato digerente (vedi eccessiva lunghezza) la nostra scarsa acidità intragastrica non sono idonei per digerire tale alimento in maniera ottimale e senza creare danni al nostro organismo.
Al contrario i carnivori sono dotati di caratteristiche anatomiche diverse e quindi  ottimali che  rendono ideale tale cibo per essere assimilato in maniera completa.
L’uomo si sforza di renderlo commestibile e attraente alla vista mettendo in atto dei sofisticati procedimenti come la frollatura, la conservazione per qualche tempo, la modificazione del  suo colore  esterno.
L’animale dopo qualche minuto dall'abbattimento, per una questione di metabolismo in assenza di ossigeno, subisce un irrigidimento progressivo che si traduce in una durezza della sua carne che pertanto risulta immangiabile; infatti l'animale presenta la rigidità di un cadavere; ecco che l’uomo ha messo a punto la frollatura che consiste in un tipo  di stagionatura che  rende  la carne più tenera. Questo risultato è dovuto all’azione di alcune sostanze chiamate enzimi che agiscono per circa 48 ore sulla struttura delle proteine. Purtroppo per ottenere carni più saporite  sono necessari anche dieci giorni di tale trattamento.  Non bisogna dimenticare che la frollatura non è altro che una blando tipo di putrefazione che l’industria della carne tenta di  rallentare, ma non eliminare del tutto, attuando una sterilizzazione batterica con radiazioni ultraviolette.
Quindi durante la frollatura anche una modesta putrefazione produce sostanze chiamate  Ptomaine che producono effetti  più o meno tossici. Quando vengono prodotte in grande quantità  possono influenzare la crescita di cellule tumorali. Infatti da dati  ripresi dalla letteratura risulta che l’uso eccessivo della carne è responsabile nell’80% del cancro dell’intestino, del 70% del cancro della prostata, del 50% di quello della mammella.
  La carne è tossica anche per la presenza nel suo interno di abbondanti quantità di adrenalina e di cortisolo accumulati  dall’animale  a causa dell’eccessivo stress nei momenti che precedono la morte, operazione violenta e contro natura; altra tossicità è legata a sostanze come ammoniaca, acido urico, urea  derivate dal metabolismo dell'animale in vita. Queste sostanze hanno la caratteristica di alterare l'ambiente cellulare umano (aumentano l'acidità dei tessuti). I vari procedimenti di cottura (vedi:  alla brace, alla griglia)  di questo cibo possono dar luogo alla produzione di elementi nocivi per la salute come il Benzopirene ( altamente cancerogeno). Non bisogna dimenticare che i grassi contenuti nella carne, oltre che nei suoi derivati, possono contenere  Diossina a sua volta derivata dalla termocombustione dei rifiuti; tale sostanza può essere presente in alcuni terreni dove vengono raccolti i cibi per gli animali. Non bisogna dimenticare che l’animale venendo allevato in batteria si nutre non naturalmente, ma medianti mangimi sintetici non del tutto salutari, può facilmente  ammalarsi quindi ha bisogno della somministrazione di antibiotici, di antinfiammatori e qualche volta di cortisonici che vengono somministrati per aumentare in maniera fraudolenta il suo peso. Tutte queste sostanze spesso  si trovano abbondantemente presenti nella bistecca con la quale ci alimentiamo. Pertanto possono avere notevoli ripercussioni negative sul nostro stato di salute  come: riduzione dei poteri difensivi del nostro sistema immunitario, alterazioni ormonali, impotenza, riduzione del numero degli spermatozoi, tumori alla prostata, al fegato, alterazione del ciclo mestruale nella donna. Altri fattori che aumentano la tossicità della carne sono i conservanti tipo nitriti e nitrati che ne  aumentano la durata della commestibilità ed anche l'aspetto esterno donandole un colore rosso  molto rassicurante per il consumatore. La presenza di nitriti nel lume gastrico  favorisce la produzione delle  cosiddette nitrosamine altamente cancerogene per lo stomaco e l' intestino. 
Dopo queste informazioni che la scienza ci fornisce,  i consumatori di carni credono ancora che l’alimento carne sia  innocuo e naturale?