mercoledì 5 luglio 2017

Riflessioni sulla traslazione delle spoglie di Vittorio Trancanelli dichiarato Venerabile dalla Curia di Roma


Ho conosciuto Vittorio e ho lavorato con Lui per circa 20 anni con passione ed entusiasmo a favore di malati molto impegnativi  nel campo della Chirurgia Generale e dei Trapianti d’organo dapprima  nell’Ospedale Perugino di Monteluce e successivamente in quello di S. Maria della Misericordia. Facevamo parte della Scuola prestigiosa del compianto Prof. U. Mercati che oltre ad essere stato un grande Maestro per entrambi, per Vittorio rappresentò circa 40 anni fa l’ancora di salvezza per la sua vita mediante  un mirabile e tempestivo intervento d’urgenza.
Era una Persona estremamente mite,  molto discreta e di poche parole, ma efficace nel trattare professionalmente  i malati  Sono certo che viveva soltanto per il suo lavoro, per lo studio e per rinnovare e rinsaldare il suo Credo religioso che aveva posto con estrema coerenza come base della sua esistenza. Il suo motto di vita era quello di fare il Bene sempre e comunque. Svolgeva il suo lavoro avendo come fine ultimo quello di donare una vita normale ai malati senza dare alcun valore al denaro. Spesso mi parlava della sua devozione verso il Padre Eterno e verso la Madonna, ma aveva scarsa considerazione verso il culto esagerato e poco intimo verso alcuni Santi (fatto di pellegrinaggi, novene e processioni), anche perché pensava che la santificazione di un Credente era preceduta da un iter artificioso fatto da indagini, di espletamento di una serie di cause, con l’impiego di avvocati, di Postulatori e di conseguenza con l'impiego di tanto denaro. La sua semplicità di vita   contrastava, ne sono certo, con tale tipo di burocrazia.   In breve aveva una Fede di una persona adulta maturata nello studio e nella preghiera e nella concretezza della sua vita. Non so immaginare cosa oggi potrebbe pensare  in proposito dato che anche Lui si sta avviando ad essere santo. Non credo che in vita  avesse traguardi di questo tipo anche perché non amava essere in prima pagina, non amava ricevere elogi soprattutto di bontà perché era convinto che Buono era soltanto DIO. A proposito della  traslazione della sua Salma dalla Parrocchia di Cenerente  alla Cappella del nostro Ospedale cittadino desidero fare delle considerazioni  dopo aver sentito il commento quasi unanime di molti fedeli che hanno partecipato alla Celebrazione. Si è  ritenuto poco appropriato, proprio conoscendo lo stile di vita di Vittorio, di permettere il libero ingresso all’interno della Cappella, dove si svolgeva la cerimonia religiosa, soltanto ai fedeli muniti di un Pass da esibire al personale addetto alla sorveglianza.
Perdonatemi, ma era una cerimonia religiosa, non era un avvenimento sportivo o uno spettacolo di altro genere in cui per partecipare era necessario esibire un biglietto o un Pass. Al contrario l’ingresso doveva essere libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Questa decisione è risultata contraddittoria dato che la Curia aveva pubblicizzato l'evento attraverso Omelie e manifesti presenti nelle Chiese e in molti luoghi pubblici con lo scopo di estendere la partecipazione a molti cittadini della Diocesi Perugina. Probabilmente interessava agli Organizzatori in particolare il colpo  d’occhio di una processione molto affollata  lungo alcune vie della Città, anche perché un evento del genere, a detta del Vescovo, non si viveva da secoli a Perugia. Interpretando il pensiero di molti ho voluto esprimere anche il mio convincimento a proposito della cerimonia che ha avviato il cammino di beatificazione di Vittorio Trancanelli il quale non avrebbe gradito questo atteggiamento da parte degli organizzatori  in quanto in vita non aveva mai amato   privilegi   di qualsiasi  genere. 
Desidero inoltre esprimere in questa occasione la sorpresa di molti partecipanti alla cerimonia nel vedere in circolazione un opuscolo (distribuito nelle chiese) redatto e stampato con tecnica fumettistica che aveva come oggetto la biografia del futuro Beato riprodotta con rappresentazione  di scene molto tristi, piene di sofferenza indicibile che nulla hanno a che vedere con la speranza cristiana e la riservatezza di cui era imperniata la vita terrena di Vittorio. Anche in questo caso un testo poco rispettoso e poco appropriato della vita intima di Vittorio, che si poteva evitare.
A prescindere da queste umane considerazioni,  sono certo che la Comunità Perugina ha accolto con tanto entusiasmo la decisione di rendere Venerabile la Figura di Vittorio, come Medico e come Credente che ha donato tutta la sua vita agli altri e il cui motto costante è stato fino alla fine "Mi fido di Dio", malgrado le tante difficoltà incontrate e superate con coraggio. Sono convinto che avendo vissuto coerentemente il Vangelo   meriti di essere Santificato.  


venerdì 24 marzo 2017

L’ADROTERAPIA: UNA NUOVA ARMA CONTRO IL CANCRO


Grazie al progresso instancabile ed innovativo in ogni campo della  Scienza medica,  in particolare in quello della lotta contro i  tumori,  da pochi  anni, dopo una lunga e proficua  collaborazione tra  Fisici, Bio-ingegneri, Radioterapisti e Clinici Oncologi e dopo una fase  sperimentale e clinica  tutt’ora in atto, è stato possibile mettere  a punto  una nuova forma di Radioterapia  denominata  “Adroterapia” che si basa sull’uso di Protoni e di Ioni Carbonio che rappresentano delle particelle  sub-atomiche pesanti  denominate “Adroni” (parola di derivazione greca che significa: dotati di “Forza”) forza che, tradotta in grande  energia,  acquisiscono durante la loro immissione in un Acceleratore di Particelle denominato Sincrotrone. Attualmente la Radioterapia tradizionale si basa sull’uso di Raggi-X  o  fasci di Elettroni che quando vengono accelerati all’interno di un Lin-ac  (Acceleratore Lineare) generalmente  acquisiscono  una energia  valutabile intorno ai  10  MeV (mille elettronvolt),  mentre gli Adroni accelerati in un Sincrotrone  esprimono un’energia di 200- 4000 MeV; inoltre gli elettroni non avendo alcun peso si lasciano disperdere nello spessore dei tessuti da trattare. Questo tipo di radioterapia non viene messa in soffitta, anche perché è meno costosa, ma certamente continuerà ad essere impiegata soprattutto quella che utilizza i Fasci multipli incrociati di elettroni (che rispetta parzialmente i tessuti circostanti) per trattare le forme  neoplastiche in cui  risulta efficace e che  tra l’altro sono la maggior parte.
Il  Sincrotrone ideato per primo da E. M. Mc Millan e V. Veksler nel 1943  e  che per la sua costruzione ancora oggi necessita di spazi molto  ampi e di ingenti risorse finanziarie, rappresenta nel suo insieme una macchina acceleratrice circolare e con linee di trasporto di fasci di miliardi di particelle che raggiungono energie elevatissime e che vengono prodotte da particolari dispositivi a cui viene applicato un potente  campo elettrico  partendo da un gas costituito da atomi di Idrogeno   per quanto riguarda la produzione di Protoni e da atomi di Carbonio per gli Ioni-Carbonio (C+). In ambedue i casi i suddetti  dispositivi, per  ottenere gli ioni rispettivi, sottraggono un elettrone all’Idrogeno e ben sei al Carbonio (cioè i cosiddetti elettroni di Valenza)  rendendoli  estremamente instabili e quindi molto distruttivi sul target tumorale (per consuetudine si definisce Protone l’atomo di Idrogeno con carica positiva perché  privato del suo unico elettrone che ha  carica negativa).  Questi fasci di particelle immessi nell’Acceleratore hanno  una velocità di circa 30 km./sec. e vengono accelerati in maniera tale da fare acquisire loro  energie cinetiche del valore di centinaia di Mille-elettron-volt per quanto riguarda il  Protone e di migliaia di MeV  per lo Ione-Carbonio. Questa differenza tra i due è legata alla maggiore massa (peso atomico) di quest’ultimo (vedi l’equazione di A. Einstein: Energia = Massa x Velocità).   Per deviare di 90°  questi fasci lineari verso il paziente da trattare entrano in azione potenti Magneti di molte tonnellate di peso. Quali sono le caratteristiche di questa irradiazione? Gli  Adroni  hanno il pregio di poter essere indirizzati verso un obbiettivo  rappresentato da una lesione tumorale che si trovi anche nella profondità dei tessuti; infatti la  caratteristica delle particelle impiegate è quella di poter rilasciare la loro massima energia anche  a distanza di molti centimetri dal piano cutaneo perché la dose di irradiazione aumenta con l’aumentare dello spessore del tessuto fino al raggiungimento del cosiddetto Picco di Bragg (molto noto ai Bio-ingegneri e ai Radioterapisti) che è espressione di massima concentrazione dell’ energia distruttiva e che si verifica soltanto nell’area prescelta, sede della patologia, risparmiando i tessuti circostanti dai danni molto nocivi  soprattutto se si tratta di strutture nobili ( come il cervello, il midollo spinale, il globo oculare). Purtroppo tale Picco massimale utilizzando i Raggi-X si raggiunge generalmente dopo pochi centimetri dal piano cutaneo perché si lasciano facilmente deviare e pertanto l’irradiazione in profondità può risultare di entità minore e quindi  molto meno efficace (ciò può  spiegare  la resistenza che presentano certi tipi di neoplasie). Esiste una differenza sostanziale tra l’irradiazione con Protoni e quella con Ioni-Carbonio; infatti quest’ultima irradia un’energia circa 20 volte maggiore di quella prodotta dai Protoni e quindi sul piano radiobiologico hanno un potere distruttivo totale sui cosiddetti tumori radio-resistenti  in quanto  alterano in più parti la struttura del Dna delle cellule tumorali in continua duplicazione  in maniera irreparabile determinando pertanto un blocco definitivo di una proliferazione impazzita. Sul piano qualitativo (azione in profondità, precisione millimetrica sul target da centrare, risparmio dei tessuti circostanti la lesione) non presentano sostanziali differenze.
Ad oggi i tumori in cui esiste una indicazione precisa al trattamento con l’Adroterapia sono in particolar modo: a) quelli in cui l’accesso chirurgico è problematico perché localizzati  in aree difficili e pericolose da raggiungere anche da parte dell’irradiazione derivante dai Raggi-X  la quale, oltre a colpire il tumore con minore intensità,  può ledere le strutture circostanti a causa della sua scarsa precisione di puntamento, b) quelli che risultano resistenti alla radioterapia convenzionale; quindi è indicata: nei  Condromi e  Condrosarcomi della base cranica e del rachide, nei Sarcomi della testa, del collo  e dello scavo pelvico, nei Carcinomi e gli adenomi pleomorfi delle ghiandole salivari, nei carcinomi delle fosse nasali e dei seni paranasali,  nei  tumori della prostata, nei tumori del globo oculare (melanoma dell’Uvea); attualmente  non esiste   alcuna indicazione per i tumori metastatici (Orecchia R.- 2001). Oggi nel mondo esistono soltanto 35 centri che  utilizzano la Radioterapia con Protoni e soltanto 6 quelli che utilizzano gli  ioni-Carbonio; a Pavia è sorto da circa 10 anni un centro specializzato in cui i tumori vengono irradiati o con Protoni o  con gli  ioni Carbonio secondo una indicazione precisa. Lo stesso  ha acquisito  una importante  casistica per il numero dei pazienti trattati  e per i  risultati positivi che  si aggirano tra il 70 e il 90%; a tale centro  possono far  riferimento oltre i malati dalla Lombardia anche quelli  provenienti  da altre  regioni italiane previo  un iter  burocratico regionale che, dato l’alto costo della prestazione  a carico del Sistema Sanitario Nazionale, attualmente risulta essere molto lungo ed impegnativo;  mi auguro che possa col tempo  essere semplificato grazie all’ampliamento della suddetta  struttura o all’apertura in futuro di altri centri.
Per il trattamento soltanto con i Protoni, i centri  di eccellenza sono a Trento e a Catania, quest’ultima sede specializzata  soltanto  per la cura dei tumori del globo oculare come il Melanoma. Con l’innovazione apportata dall’Adroterapia la durata effettiva  del ciclo terapeutico radioterapico  si è ridotto (cinque sedute di due minuti ciascuna per tre settimane). Gli effetti collaterali,  peraltro  rari, sono facilmente superabili perché non gravi. Prima di terminare mi piace sottolineare che un sistema, e cioè la messa a punto del Sincrotrone, nato come acceleratore di particelle sub-atomiche, all’inizio ideato per studiare la materia di cui è costituito il nostro  Cosmo (come nel Cern di Ginevra),  si sia rivelato con alcune essenziali  modifiche un grande mezzo  terapeutico per alcuni tipi di tumore dapprima non trattabili, e  che è stato possibile realizzare  come frutto   della collaborazione di Fisici, di Medici oltre che da Bio-ingegneri (U. Amaldi- 2003). 

domenica 31 gennaio 2016

L’INFIAMMAZIONE DI BASSO GRADO DI ORIGINE INTESTINALE: KILLER SILENZIOSO PER LA NOSTRA SALUTE


L’INFIAMMAZIONE  DI BASSO GRADO CHE  ORIGINA  NELL’ INTESTINO:  KILLER SILENZIOSO PER LA NOSTRA SALUTE

   
  Molto spesso l’attenzione, per quanto riguarda la nostra salute,  è rivolta al mantenimento di una  buona funzionalità degli organi nobili del nostro organismo come il cuore e  il cervello;  purtroppo l’importanza  del nostro apparato intestinale  viene spesso messa in secondo piano, dimenticando i riflessi importanti che può avere sul nostro equilibrio psico-fisico. (Gerson M.D. -2013)
Scopo di queste mie note è quello di contribuire a dare il giusto rilievo ad alcune sue  proprietà fisiologiche sottolineando anche l’importanza che svolge il suo contenuto  rappresentato dal cosiddetto Microbiota formato da 1000  miliardi di batteri e meglio conosciuto come Flora Batterica; infatti lo strato interno della parete intestinale  protetto dall’azione dei  cosiddetti batteri buoni, rappresenta l’interfaccia tra l’ambiente che ci circonda e il nostro organismo e pertanto  assume una sostanziale rilevanza in quanto possiede una estesa superficie di scambio valutata nell’ordine di circa 200  metri quadrati.
     La stessa  è fornita  di  cellule di rivestimento che sono interconnesse da giunture molto serrate (denominate Tight Junctions) costituite da speciali proteine (conosciute  col nome di Occludina e di Modulina) che  selezionano l’assorbimento delle sostanze  derivate dai vari processi digestivi e  bloccano, anche con l’aiuto del Sistema immunitario locale,  l’ingresso di tossine e  di microbi. (Fasano A.- 2011)
  Purtroppo questa mirabile struttura anatomica può essere alterata da vari fattori  come:  l’eccessiva e cronica produzione di cortisolo che si verifica nello stress cognitivo e non, la somministrazione cronica di farmaci antidolorifici  (i Fans) distruttori delle giunzioni intercellulari sopradescritte, l’uso prolungato di inibitori della pompa protonica che annullando l’acidità gastrica favoriscono purtroppo l’insediarsi nell’intestino di germi patogeni, la somministrazione di chemioterapici oncologici, le sostanze  tossiche introdotte  con l’alimentazione (rappresentate dai  conservanti,  coloranti,  pesticidi), le terapie antibiotiche a largo spettro,  la presenza di una eccessiva sensibilità  al Glutine da non confondere con la Celiachia vera e  propria. Tutti questi elementi  possono influire negativamente sulla fisiologia del nostro intestino determinando l’insorgenza  di uno stato di Disbiosi a carico della flora batterica e cioè di uno squilibrio tra il numero dei batteri buoni e di quelli patogeni. A ciò contribuisce certamente anche  una alimentazione squilibrata composta da una quantità eccessiva di alimenti molto raffinati come lo zucchero bianco nelle sue varie forme  e i carboidrati con alto indice glicemico,   in assenza soprattutto di fibre  solubili  contenuti nella frutta e nelle verdure;  ciò non soltanto è causa di flatulenza, gonfiore addominale, alvo irregolare, dolori addominali, stanchezza immotivata,  ma si accompagna anche  ad una incompleta digestione delle proteine che  diventano cibo per i batteri anaerobi di tipo proteolitico (enterococchi, stafilococchi, bacteriodes) che producendo a loro volta sostanze tossiche denominate “Amine bioattive” come la Cadaverina, la Putrescina, l’Indolo, lo Scatolo  alterano anche  il potere disintossicante del fegato. In aggiunta a questo,   oggi  si sa che una dieta ricca di grassi saturi, contenuti  soprattutto  nella carne rossa e in alcuni tipi di latticini, modifica notevolmente la composizione del Microbiota causando  una riduzione dei cosiddetti batteri buoni e cioè dei Bifidobatteri e dei Lattobacilli e nello stesso tempo rende più virulenti l’eventuale  presenza di   microrganismi  patogeni come: i miceti (la Candida albicans) , i  virus, le salmonelle, i  clostridi e i  parassiti.
Persistendo questo sconvolgimento dell’habitat intestinale si possono avere gravi ripercussioni sulla  funzione di assorbimento  della parete intestinale che diventando molto permeabile e quindi  poco selettiva permette  il passaggio nel torrente circolatorio  di sostanze nocive come batteri patogeni, tossine di vario genere, frammenti di proteine poco digerite; in breve si viene a creare uno stato di endotossiemia persistente che può  sfociare  in una infiammazione cronica generalizzata  di basso grado che può  interessare molti organi (Biffi E. - 2014); quest’ultima  è sostenuta  dal Sistema Immunitario,  il quale riconoscendo  estranei (non-self) queste sostanze  mette in atto una reazione con la sua componente immunitaria Innata formata in particolare dalle cellule difensive come i Neutrofili, i Monociti  e i  Macrofagi  i quali producendo grandi quantità di intermediari pro-infiammatori denominati citochine, il più importante dei quali è conosciuto come  TNF-alfa,   vanno  ad   attivare  un Fattore presente  all’interno delle cellule di vari organi e cioè  l’ NF-kB che risulta essere un fattore di trascrizione che regola l’attività di molti Geni pro-infiammatori; quest’ultimo scatena anche effetti metabolici negativi, il più importante dei quali è rappresentato dal blocco funzionale dell’Insulina; ne consegue un incremento non soltanto della glicemia, ma anche  del suddetto  ormone (Resistenza insulinica)  che a sua volta attivando l’enzima chiave denominato 5-delta desaturasi  favorisce la produzione di acido Arachidonico a partire dagli acidi grassi Omega-6 (presenti abbondantemente nella nostra dieta) e con esso la produzione  di Prostaglandine  infiammatorie rompendo in definitiva l’equilibrio con le Prostaglandine antinfiammatorie derivate dagli Omega-3. Il risultato di queste varie reazioni a catena è rappresentato dall’instaurarsi di una infiammazione cronica che costituisce un fuoco nemico che ha un ruolo fondamentale nell’insorgenza di almeno  il 60% delle malattie più comuni.  Essa è subdola e quindi più nociva in quanto danneggia lentamente la normale struttura anatomica e la  funzione di alcuni organi; i sintomi aspecifici più comuni  sono rappresentati da: cefalea, stanchezza immotivata, dolori diffusi, turbe del sonno e dell’umore. Purtroppo in assenza  di una risposta risolutiva può essere una  concausa della cosiddetta “Sindrome metabolica” che si caratterizza per:  sovrappeso/obesità, diabete-2, ipertensione arteriosa, alterazione dei grassi nel sangue con le relative e ben note  complicanze cardio-circolatorie (P.D. Cani, Osto M. - 2012);  inoltre può risultare alla base  di alcune  malattie immunologiche (come l’osto-artrite, alcuni tipi di Allergie), di malattie neurologiche degenerative legate ad un processo di neuro-infiammazione in quanto le citochine pro-infammatorie sono coinvolte nei processi di apprendimento, di memoria, di modulazione del dolore, come si verifica nella Sclerosi multipla, nel Morbo di Parkinson, nel Morbo di Alzheimer; inoltre della patologia tumorale, dell’Invecchiamento precoce. In conclusione si può affermare che le più frequenti  cause di morbilità e di decesso nel mondo occidentale sono legate a processi patologici che hanno alla base  uno stato di infiammazione cronica e che a sua volta è il risultato  di un Sistema immunitario stimolato cronicamente.
Per diagnosticare  questa affezione insieme  alla clinica sopra ricordata può essere di aiuto il laboratorio; è possibile trovare valori elevati di alcune sostanze specifiche  pro-infiammatorie come: le Citochine IL-1, IL-6, TNF-alfa, IL-8; oltre la Proteina C-reattiva e la stessa Omocisteinemia.
Al fine di ridurre  la frequenza della  sua insorgenza è importante adottare  uno stile di vita sano che comprende un’attività fisica regolare, una riduzione dello stress  e dei pensieri negativi che purtroppo  fanno parte del nostro vivere quotidiano e soprattutto  ripristinare  la normalità  della  Flora batterica con una dieta equilibrata in tutti i suoi componenti (come può essere la Dieta antinfiammatoria Mediterranea),  associando per lunghi periodi non soltanto i cosiddetti Prebiotici contenuti nella frutta e verdura come l’Inulina, i Polifenoli, i Fructani, i Betaglicani che nutrono i batteri buoni intestinali, ma anche i Probiotici e cioè microrganismi viventi e vitali  e quindi capaci di riprodursi; inoltre può risultare conveniente l’introduzione di almeno 1,5 grammi/die di grassi insaturi Omega-3 (EPA e DHA) i quali producono dei mediatori lipidici denominate “Resolvine” che hanno importanti proprietà antinfiammatorie ed immunoregolatrici. (Sheran C.N. – 2008)
Vorrei concludere queste mie note sottolineando che una delle scoperte più importanti di questi ultimi anni è l’aver capito  che l’infiammazione di basso grado rappresenta un meccanismo importante per spiegare la frequente insorgenza delle malattie croniche più gravi di cui soffre l’umanità (Science – 2010). Sono certo che tale  scoperta  permetterà ai clinici, sempre più,  di comprendere  in maniera unitaria e quindi di  prevenire  molte patologie che hanno un comune denominatore e soprattutto di curarle più  efficacemente  in particolare consigliando e promuovendo uno stile di vita più sana.   

martedì 17 febbraio 2015

L’IPERVENTILAZIONE……UNA SINDROME DIMENTICATA


L’utilità di rivedere  il concetto e le conseguenze dell’Iperventilazione polmonare acuta o cronica nella fisiopatologia  umana credo che possa risultare utile  al fine di comprendere l’importanza di una respirazione corretta  per mantenere o per  ripristinare  un equilibrio psicofisico oggi considerato difficile da raggiungere;  escludendo i  pazienti affetti da patologie cardiopolmonari o quelli degenti in Rianimazione, alla iperventilazione nel quotidiano  viene data scarsa importanza  soprattutto perché la nostra epoca  è caratterizzata dalla fretta e dal desiderio di raggiungere delle  performance sempre più avanzate in ogni campo; tali scelte  influenzano purtroppo negativamente la nostra vita. Ci siamo dimenticati che l’atto respiratorio nel suo complesso, anche se automatico alla nascita, quando si diventa  adulti può essere influenzato dalla volontà  per salvaguardare il nostro equilibrio biochimico interno. Da quanto sopra affermato si  può dedurre che la respirazione necessita di essere preservata dall’acquisizione di abitudini sbagliate che possono renderla  poco efficace se si vuole raggiungere  una buona ossigenazione. In breve una respirazione corretta è fondamentale per  il nostro stato di salute in quanto può prevenire e curare  alcune patologie comuni  nelle quali talvolta è difficile  trovare la causa da cui derivano.

  Fatta questa premessa, bisogna ricordare che  si deve alla perspicacia di alcuni medici militari, durante la Guerra Civile Americana, i quali notarono che lo stress provocato dal combattimento e che si accompagnava ad una respirazione frequente e  superficiale di tipo costale provocava  in molti soldati   alcuni sintomi come: fame d’aria, senso di soffocamento, parestesie diffuse. Da allora questa correlazione tra iperventilazione e i sintomi sopradescritti è stata possibile osservarla sempre più spesso soprattutto in alcune persone superficialmente etichettate come nevrotiche, ansiose e ipersensibili ad alcune esperienze e ad alcune emozioni forti presenti nel loro vissuto.

Questo quadro sintomatologico sopradescritto una volta denominato  Sindrome da sforzo, oggi è  conosciuto come Sindrome da Iperventilazione; essa si può presentare in  forma acuta in individui che di base hanno una respirazione contratta  soprattutto quando inconsapevolmente per un qualsiasi stimolo derivante dallo stress ne accentuano la frequenza; in tal caso l’organismo interpreta l’aumento del ritmo come se stesse vivendo una situazione di pericolo; pertanto il paziente ha paura  e quindi  presenta: un disorientamento, una sensazione di fame d’aria,  parestesie, vertigini, svenimento, paura di morire per infarto o per ictus, timore di impazzire o di commettere atti inconsulti. L’insieme di tali disturbi da qualche anno è catalogato, secondo la moderna psichiatria, come  Disturbo di Panico.

   La stessa sindrome si può presentare in forma cronica o ricorrente,  in tal caso  sono presenti alcuni sintomi che, interessando  diversi apparati, risulta   difficile addebitarli  all’iperventilazione, essi sono: singhiozzo ripetuto, dolori al torace, vertigini, secchezza della cavità orale, palpitazioni, spasmi muscolari alle estremità, sbadigli, necessità di effettuare respiri profondi, disturbi del sonno, astenia profonda, intorpidimento, formicolii agli arti e periorali , disturbi del circolo periferico, spasmi bronchiali,  turbe gastro-enteriche etichettate come colon irritabile o come sindrome dispeptica. Mentre la forma acuta è più facile da diagnosticare, la seconda lo è molto meno   se non si ha una  certa esperienza clinica  nel merito e se non si osserva, da parte del curante,  il modo anomalo di respirare del paziente. In ambedue le forme  un aiuto può essere fornito dal laboratorio sottoponendo il paziente ad una  emogas analisi che permette di rilevare le eventuali modificazioni della CO2, dell’O2 e del pH del plasma;  nelle forme croniche  per misurare il livello della CO2 nell’organismo può essere utile e semplice  l’esecuzione della cosiddetta   “Pausa  di controllo” che consiste nel valutare per quanto tempo, dopo una espirazione normale, si può stare in apnea senza il minimo sforzo; in presenza di iperventilazione la durata è  al di sotto di 25 secondi  (valori normali: 50-60 sec.).

    La  patogenesi della suddetta sindrome  è legata ad un incremento del volume respiratorio nell’unità di tempo; infatti dai normali 5 litri  si può passare ai 10-15 litri e più  al minuto. Generalmente, se non si è in presenza di malattie cardiovascolari o di gravi infezioni cerebrali,  l’iperventilazione  non  incrementa l’ossigenazione in quanto quest’ultima dipende dai valori  dell’emoglobina, ma al contrario  favorisce l’eliminazione esagerata della  C02   a causa della sua estrema diffusibilità alveolare;  ciò comporta uno stato di ipocapnia associato ad un  pH ematico marcatamente  alcalino  in quanto  la CO2 è presente disciolta nel plasma  come acido carbonico; si possono associare ipocalcemia e ipomagnesemia come compenso per l’eccessiva eliminazione dei bicarbonati attraverso il rene. Tali modificazioni,  secondo l’Effetto Bohr ( in questo caso modificato) causano uno spostamento verso sinistra della curva di dissociazione dell’Ossiemoglobina e con essa una ridotta cessione di Ossigeno ai tessuti periferici ed in particolar modo alle strutture cerebrali creando delle disfunzioni a carico dei lobi frontali, del Sistema Limbico, dell’Amigdala, dei nuclei Talamici anteriori  e soprattutto del Locus  ceruleus  dal quale deriva la maggior parte della Nor-adrenalina cerebrale, ormone   coinvolto nelle risposte di stress e di panico che a loro volta sono  peggiorate dall’insorgenza di falsi  segnali di asfissia.

  Purtroppo l’ipocapnia, oltre a ridurre  l’ossigenazione per una vasocostrizione dei vasi cerebrali (documentabile con esami di Neuroimaging),   è causa  di spasmi a carico della muscolatura liscia dei vari organi a struttura tubulare (esofago, stomaco, intestino, bronchi) le cui patologie ho sopraelencato e che in qualche modo possono  rientrare  nel gruppo delle malattie psicosomatiche; qualora non venga  preso in considerazione  l’effetto causale della iperventilazione cronica, le stesse  vengono diagnosticate come  Distonie neurovegetative essenziali (?)  e trattate per lungo tempo con farmaci  ansiolitici (considerati le tachipirine dell’ansia) in associazione  talvolta ai farmaci antidepressivi.

Al fine di ridurre l’insorgenza di questa patologia  è necessario correggere la nostra respirazione soprattutto a riposo ripristinando  la funzione del muscolo diaframmatico che ha la capacità di espandere  i 2/3 inferiori dei polmoni; è fondamentale rallentare  la frequenza dell’atto respiratorio, un  esempio:  l’inspirazione e  l’espirazione dovrebbero ognuna avere la durata   di cinque secondi, l’intervallo tra di esse e tra due atti respiratori consecutivi  dovrebbe  essere ancora di cinque  secondi (questi tempi  possono allungarsi  con un esercizio graduale); tale  tipo di respiro  normalizza la CO2 ematica riducendone l’eccessiva perdita alveolare e quindi  migliorando  l’ossigenazione; questa  pratica che andrebbe esercitata  per alcuni minuti al giorno e per lungo tempo facilita,  a riposo,  l’instaurarsi di una respirazione diaframmatica spontanea. Tale modalità  respiratoria  è indicata per tutti e in particolar modo per quei soggetti che vivono   in uno stato di ansia  cronica e  che talvolta sono considerati malati immaginari in quanto iperventilano in modo poco evidente. . 

  A conferma di quanto riportato, è noto che le varie tecniche di rilassamento e tra queste  la pratica dello Yoga, una disciplina orientale millenaria, si basano su una respirazione calma,  non celere e concentrata sul diaframma e pertanto  risultano efficaci nel trattare e nel prevenire le suddette disfunzioni respiratorie; infatti  rappresentando le stesse  un anello di congiunzione tra soma e psiche,  sono capaci di  promuovere  un  benessere mentale, psicologico e fisico.

  Da quanto si evince  la sindrome da  iperventilazione, può essere trattata  anche con le sole potenzialità che Madre Natura ha posto in ognuno di noi rappresentate in questo caso dal ripristino di  una respirazione corretta. Per far questo è fondamentale riscoprire la funzione del muscolo diaframmatico da moltissimo tempo dimenticata!

 Pertanto  poiché esiste anche un nesso evidente tra   il nostro stato d’animo e il nostro respiro è auspicabile per tutti  rieducare quest’ultimo al fine di rendere la nostra vita più serena  riducendo  lo stress quando è eccessivo  e che  risulta essere alla base di molte patologie che purtroppo  oggi  trovano soluzioni terapeutiche  soltanto sintomatiche.          

GLI ANTICORPI MONOCLONALI NELLA CURA DEL CANCRO E DI’ ALCUNE MALATTIE DEL SISTEMA IMMUNITARIO


Nel 1984 fu assegnato il Premio Nobel per la Medicina a tre scienziati: G. Kohler, C.Milstein e a N. K. Jerne perché mettendo a punto la cosiddetta “Fusione Cellulare”,  come dirò più avanti, diedero un impulso  notevole per l’ottenimento dei cosiddetti “Anticorpi Monoclonali” (mAb) che tanta importanza hanno oggi e soprattutto avranno in futuro per la terapia di alcune malattie fino ad ora  non completamente curabili. Essi  si possono definire in modo più appropriato  farmaci biologici  perché sono proteine e non sostanze chimiche che permettono di attuare una specifica immunoterapia in quanto combattono alcuni fattori (i cosiddetti promotori di alcune patologie) che in sostanza  rappresentano gli antigeni o sostanze estranee  per i quali sono stati creati.

  Il medesimo termine Anticorpo suggerisce che la loro azione si basa sul contrasto e quindi sulla inattivazione  dei fattori sopracitati e nel contempo sul rispetto e sulla salvaguardia del nostro patrimonio cellulare sano. Pertanto agiscono in modo intelligente riducendo  l’insorgere di effetti collaterali gravi come purtroppo succede impiegando altre terapie più aggressive e meno specifiche.

  Generalmente gli anticorpi, chiamati anche Immunoglobuline,  sono prodotti dai Linfociti-B (una sottospecie di Globuli Bianchi) quando vengono a contatto con sostanze  estranee. Il termine Monoclonale deriva dalla parola Clone che designa una popolazione di cellule identiche sul piano genetico in quanto derivate da un’unica Cellula Madre e che riconoscono soltanto una specifica sostanza estranea.

  Per comprendere meglio la loro natura è necessario accennare alla metodica con la quale sono stati prodotti. All’inizio  i Ricercatori hanno utilizzato come cavia il topo in quanto, è risaputo, che  possiede un’organizzazione del Dna e l’espressione dei suoi Geni molto vicini a quelli umani. In esso hanno inoculato una determinata sostanza estranea; dopo essere stati sensibilizzati i Linfociti-B sono stati prelevati  e sono stati  posti in uno specifico mezzo di coltura insieme a cellule derivate da un  tumore del midollo osseo umano (mieloma).  A questo punto le due specie cellulari si sono fuse con l’aiuto di una determinata sostanza chimica  (ecco la fusione che ha meritato il Premio Nobel prima ricordato);  le cellule ottenute erano dei  linfociti particolari  perché  avevano  la capacità di produrre   anticorpi specifici in modo illimitato in quanto per una parte derivavano da una cellula tumorale in linea teorica immortale.

Purtroppo l’uso clinico nell’uomo di questi anticorpi è stato abbandonato perché  oltre ad essere poco efficaci davano luogo ad effetti collaterali gravi  in quanto  la loro origine in parte era derivante dal topo  e pertanto non risultavano compatibili nell’uomo. Fortunatamente attraverso una evoluzione tecnologica sempre più avanzata, basata sull’impiego della cosiddetta Ingegneria molecolare, che  manipola, sottrae, aggiunge e trasferisce  geni da cellule diverse,   è stato possibile sostituire tutte le  parti  della struttura dell’anticorpo derivanti dal topo, con componenti anticorpali  di origine umana, lasciando intatta  quella porzione di origine murina (topo) che era predisposta fisiologicamente a  legarsi all’antigene; ciò è stato possibile perché ogni anticorpo è composto da diverse parti intercambiabili.   Con questa metodica si sono creati alcuni mAb  che sono stati definiti “Umanizzati” e che sono risultati abbastanza  compatibili e nello stesso tempo  efficaci  una volta inoculati nell’uomo.

   Al fine di rendere gli mAb  completamente di origine umana e quindi molto più efficaci, con una durata di vita maggiore  e  scevri   da effetti secondari   si è preso in considerazione, per la loro produzione, il cosiddetto  “Topo Transgenico” cioè una cavia alla  quale  nel suo    primissimo stadio di embrione  sono  stati introdotti dei Geni umani che codificavano per gli anticorpi ( cioè quando si inoculavano antigeni  nei topi, questi ultimi producevano anticorpi umani). La tecnologia per umanizzare gli mAb ha rappresentato per la scienza una rivoluzione epocale. Oggi è  molto diffusa  la loro produzione  e  avendo  superato ormai da tempo i  test clinici,  sono disponibili , a parte il costo proibitivo per le casse statali.

  Alla fine di un lungo percorso caratterizzato da diverse tappe  si è avverato il sogno  di impiegare   armi immunologiche  per combattere malattie di diversa origine; infatti possono essere usate con successo per curare oggi alcuni tumori, sperando che in futuro si possa combatterli  tutti, alcune patologie autoimmunitarie, alcune affezioni di tipo  degenerativo riguardante ad esempio la Retina oculare  e per ultimo il Rigetto di un organo trapiantato resistente alle comuni terapie. Tali farmaci biologici rappresentano delle sostanze innovative che stanno cambiando la storia naturale dei tumori e in particolar modo di alcune forme  di Linfomi e Leucemie, dei melanomi oltreché del cancro della mammella in fase avanzata e del colon.  Il loro meccanismo d’azione  è basato principalmente sul fatto che essi legandosi ad un recettore specifico delle cellule malate (ad  esempio nei linfomi alla proteina CD-20, fondamentale per la vita delle stesse e  con la quale era stato costruito in laboratorio il relativo anticorpo) rende queste ultime più evidenziabili e quindi più riconoscibili da parte del sistema immunitario al fine di una loro eliminazione; inoltre hanno la capacità di bloccare  i cosiddetti Fattori di crescita   responsabili della proliferazione disordinata delle cellule. Ad esempio il Cetuximab un mAb  utilizzato per la terapia dei tumori del colon, della Testa e del Collo si lega ai recettori cellulari bloccando il cosiddetto  Fattore di crescita l’EGF (Epidermal Growth Factor)  impedendo in tal modo la loro progressione. Un altro tipo di mAb  il Bevacizumab ( meglio conosciuto come Avastin) utilizzato per i tumori del cervello, del colon, del polmone,  blocca un altro Fattore di crescita specifico che promuove la formazione di nuovi vasi sanguigni indispensabili per la nutrizione del tessuto tumorale arrestando in tal modo  il suo sviluppo.  Al fine di migliorare la loro efficacia è stato reso possibile l’impiego di   mAb coniugati con una sostanza citotossica oppure con un elemento radioattivo (Ittrio-90). Questa unione  ha   permesso  di veicolare tali sostanze soltanto a livello delle cellule tumorali evitando di intossicare e di irradiare  quelle sane.  

   Un ulteriore impiego di alcuni di essi è stato esteso alla cura delle varie malattie autoimmunitarie tra cui l’artrite reumatoide o  l’ileo-colite cronica   (Morbo di Crohn) che si basano su un malfunzionamento dell’attivazione del Sistema immunitario. All’uopo è stato creato un mAb, denominato Infliximab, contro il promotore di queste affezioni rappresentato dalla Linfochina TNF (Fattore di necrosi tumorale) prodotta da specifici Linfociti (Th1) e responsabile  dell’origine e del mantenimento di uno  stato infiammatorio.

Un’altro campo di applicazione del sopracitato Avastin riguarda una patologia oculare e cioè la Degenerazione maculare retinica associata ad una neo-genesi di vasi sanguigni. Agisce bloccando il promotore VEGF (cioè il Fattore di Crescita Vascolare) e, attraverso iniezioni intraoculari, impedisce l’istaurarsi  di una  cecità irreversibile.

  Per ultimo vorrei ricordare l’impiego di un altro  mAb (Basiliximab) che agisce bloccando il Rigetto di un trapianto d’organo in quanto annulla la funzione  dell’antigene CD-25  dei linfociti e quindi la loro superattivazione  che è alla base della perdita dell’organo.

    Quanto sopra riportato vuole avere l’intento di  fornire una conoscenza per sommi capi  riguardante la nuova realtà terapeutica incentrata sugli Anticorpi Monoclonali  che oggi rappresentano non soltanto una speranza, ma anche una certezza per sconfiggere in maniera definitiva malattie che fino a qualche anno fa risultavano invincibili. La loro scoperta rappresenta una svolta decisiva soprattutto in campo oncologico; l’aveva  sognata oltre un secolo fa  Paul Erlich (Padre della chemioterapia e Premio Nobel per la Medicina nel 1904) che aveva intuito che il cancro era un corpo estraneo e come tale doveva essere vinto mediante l’Immunologia. Il tempo e la genialità di molti ricercatori hanno premiato la sua intuizione e nello stesso tempo hanno reso possibile conoscere  l’origine  di alcune malattie invalidanti e  la loro relativa cura. Spero  di aver reso un po’ più comprensibile un argomento ostico soprattutto per i non addetti ai lavori, argomento che comunque ci introduce in  settori  affascinanti   della  medicina come  la Genetica e l’Immunologia  che lavorano in simbiosi  per rendere più accettabile la nostra condizione umana  da sempre  desiderosa di un futuro migliore.         

giovedì 22 maggio 2014

PER UNA MEDICINA CHE SIA CENTRATA SULLA PERSONA


  Dal titolo di questo mio scritto si evince un concetto scontato cioè quello di considerare in ogni campo e in ogni attività  l’uomo come Persona in tutta la sua interezza;  purtroppo da molto tempo non viene data a tale asserzione  il giusto rilievo da parte anche della Medicina ufficiale che al contrario nella sua pratica generalmente pone come fondamento diagnostico e terapeutico la tecnologia che la scienza le mette sempre più a disposizione e nel contempo si interessa poco dell’Uomo in toto  come persona.

  Si preferisce esaminare il malato per via analitica attraverso i risultati di vari esami di laboratorio, attraverso esami strumentali tra i più sofisticati oppure attraverso test genetici, mettendo in secondo piano il rapporto personalizzato tra medico e paziente che nei tempi passati era considerato basilare ai fini del raggiungimento di un risultato curativo più o meno stabile. Tale rapporto non dovrebbe  rappresentare  soltanto un principio etico, perché   nell’ esperienza di tutti i giorni si è dimostrato  un fattore terapeutico essenziale come d’altra parte la Psicologia clinica insegna. In assenza di questa componente umana la figura del medico rischia di diventare astratta  in quanto viene data molta importanza, in un evento patologico, allo stato psico-fisico dell’ ”Essere malato” trascurando quello  del “Sentirsi malato”. Purtroppo in tal modo si arriva al paradosso di diagnosticare talvolta a distanza  uno stato morboso anche per via on-line senza conoscere  le caratteristiche personali di un paziente; infatti si prende in considerazione in questo caso  purtroppo soltanto il concetto dell’”essere malato”. Ciò  si verifica perché il medico si basa su standard e protocolli predefiniti elaborati secondo un metodo statistico da anonimi esperti; in sostanza manca una medicalizzazione personalizzata che tenga conto del perché dell’insorgenza di una malattia in un determinato individuo e in un determinato momento della sua vita,  trascurando il contributo che possono avere  le   sue emozioni, il suo stato d’animo, la sua vita familiare, le sue problematiche lavorative ed esistenziali  per giungere ad una accurata diagnosi, in breve non si pone la dovuta attenzione al suo stato di “Sentirsi malato”.

  Adottando da parte dei medici questo sistema comportamentale si raggiunge il solo  scopo curativo di attenuare i sintomi  senza  scoprire  l’origine profonda che possono avere gli stessi. Questi ultimi non sono altro che dei campanelli di allarme con i quali l’organismo cerca di richiamare l’attenzione del paziente e quindi del terapeuta, ma nei modelli curativi attuali non ci si preoccupa di scoprire da quali squilibri interiori  possono trarre origine.  Sarebbe auspicabile, quando  si è in presenza di  manifestazioni patologiche più o meno gravi,  che il medico mettesse da parte la fretta e adoperasse il suo istinto empatico al fine di   entrare nella storia intima  del paziente  per  comprendere fino in fondo il suo disagio e la vera origine  della malattia  che è in atto, come peraltro fanno con successo gli operatori della cosiddetta Medicina alternativa che tanta importanza danno al colloquio prolungato con il malato. Soltanto in questo modo si prenderebbe  in  considerazione lo stato psicofisico del “Sentirsi malato”  con risvolti positivi sull’esito dell’evento morboso.  Per la Medicina di oggi è augurabile un ritorno ai tempi passati quando la centralità dell’uomo assumeva un ruolo fondamentale nell’atto terapeutico. A tal proposito è necessario rispolverare l’imperativo Kantiano e cioè che: “L’uomo è sempre e solo fine e mai mezzo”. Solo in tal modo verrebbe salvaguardata la sua dignità. Di conseguenza la Medicina è tanto più umana quanto più  sa rispettare questa dignità dell’uomo sofferente che spesso si viene a trovare in situazioni  gravi ed umilianti. Non bisogna dimenticare che il male altera  in maniera sostanziale non soltanto  gli equilibri fondamentali della persona per quanto riguarda i  rapporti che esistono tra corpo, psiche e spirito, ma anche quelle relazioni con altre persone del suo ambito familiare, di lavoro, di studio. E’ importante sottolineare che trovandosi l’uomo in una situazione di precarietà e di fragilità, necessita da parte di chi  lo assiste l’obbligo di una attenzione particolare, di un servizio più amichevole e disinteressato, di un aiuto premuroso e concreto che possa accompagnarlo  fuori dal tunnel pericoloso in cui all’improvviso si è venuto a trovare. Quanto sopradetto potrebbe concretizzarsi con un ascolto più attento e meno frettoloso della storia che il malato propone, ascolto che ha tanto valore per una sanità più umana e  più efficiente. Perché l’uomo malato non è una macchina rotta che va riparata come potrebbe fare un meccanico;  al contrario possedendo una componente  interiore impalpabile ma reale fatta nel suo insieme:  di processi cognitivi,  di pensiero, di memoria, di sensibilità emozionale, tutti fattori che  influenzano grandemente l’evento morboso, necessita per il successo della cura  un intervento medico  che si prefigga  di scandagliare  queste sue prerogative  personali peraltro  estremamente importanti. In caso contrario la malattia si cronicizza e le ripetute e molteplici  somministrazioni farmaceutiche risulteranno la regola. Tutto ciò a scapito soprattutto del malato ed anche delle finanze pubbliche. Per  completare  l’approccio personalizzato alla malattia non può assolutamente mancare  la cosiddetta “Clinica” che si basa in particolare su una visita generale accurata. Il paziente ha bisogno di essere toccato, di essere auscultato, di essere esaminato a fondo prima di invitarlo a sottoporsi ad eventuali esami specifici. Quante volte abbiamo sentito dire da parte di alcuni malati:” Finalmente ho trovato un medico che mi ha fatto una bella visita”! Questa esclamazione è legata alla rarità dell’evento.

  Alcune  volte il malato uscendo da un ambulatorio, se ha ricevuto l’attenzione dovuta al suo caso clinico, si sente migliorato; è conscio che in questo caso la sua problematica è stata presa in considerazione come egli desiderava. Realmente si sono messi in moto degli stimoli  concreti che hanno ridotto il suo stato di stress sempre presente quando si è in preda ad uno stato di paura che quasi sempre accompagna la malattia. Non è augurabile per un medico non provare compassione per un malato e non condividere il suo stato di sofferenza. La freddezza emotiva non si addice ad un terapeuta; infatti da sempre è stata  l’Humanitas il tratto che ha caratterizzato la   figura del luminare e  del medico di base, portatore del sapere scientifico il primo e di conoscenze pratiche il secondo. Forse è difficile far rivivere in tutta la loro importanza queste figure, ma si impone parlarne per invogliare i futuri medici a prenderle ad esempio. Sono sempre più convinto che tale sentimento non si prende più in considerazione nella selezione della futura classe medica; infatti oggi quest’ultima, data per scontata l’assenza della meritocrazia,  viene scelta con un test di cultura generale spicciola escludendo di scoprire le vere motivazioni personali che dovrebbero spingere i  giovani ad intraprendere una professione altamente umanizzante nei confronti della società.  A tal proposito è  necessario tenere a mente che la Medicina non è sicuramente una scienza fatta di numeri e formule matematiche, ma al contrario è un’Arte (la Tècne  iatrikè degli antichi greci la cui traduzione indica  un tipo di attività artigianale che opera la sintesi tra scienza, tecnica e arte) che necessita sì di conoscenze scientifiche, ma che fondamentalmente si basa sull’umiltà e sul rispetto nel rapportarsi con la persona malata. E’ una professione esaltante, affascinante talvolta gratificante, ma anche impegnativa perché mette in campo nel suo svolgimento pratico l’istinto empatico (secondo me innato), lo studio, l’aggiornamento scientifico costante e il desiderio molto sentito di aiutare chi è in difficoltà. Secondo le mie convinzioni se mancano questi elementi si tradisce la Medicina  rendendola  impersonale e svuotata  dei principi per i quali è nata. Mi auguro che questa meravigliosa professione abbandoni la standardizzazione efficientistica aziendale il cui scopo  oggi è quello di  produrre anche utili  e risparmi, come la politica impone, ma  che talvolta rendono più difficile il percorso di guarigione di chi sta male;  e nello stesso tempo auspico che la stessa intraprenda un nuovo corso fondato su una maggiore personalizzazione e umanizzazione, da estendere anche ai luoghi di cura, a tal punto  da rendere meno difficile e complicato  il processo  curativo e la restituzione alla vita di quanti oggi si trovano a combattere  con un male che certo non hanno desiderato,ma che per sorte purtroppo  sono costretti ad affrontare.       

lunedì 31 marzo 2014

I MIGRANTI DEL CONTINENTE AFRICANO: UNA PIAGA INSOLUTA CHE GENERA TRAGEDIE


I MIGRANTI DEL CONTINENTE AFRICANO: UNA PIAGA INSOLUTA  CHE GENERA TRAGEDIE

 

Le notizie che oggi ci giungono sempre più tragiche ed allarmanti dalle sponde del Mediterraneo, dai confini meridionali della Sicilia ed in particolare dall’isola di Lampedusa a proposito dell’inabissamento delle cosiddette “Carrette del mare” e dell’annegamento di centinaia di migranti provocano sgomento e nel contempo una sensazione di impotenza data la vastità del fenomeno che colpisce così tante persone in cerca di un riparo dalla miseria più nera, dalla mancanza di libertà, da guerre senza fine in definitiva popolazioni senza un barlume di speranza in un futuro più accettabile. Sono persone disperate di ogni età, anche bambini molto piccoli, che vengono sottoposti durante il tentativo di migrazione dalle loro terre di origine ad angherie, soprusi e violenze di ogni tipo (soprattutto per quanto riguarda le donne) da parte di personaggi criminali senza scrupoli che, in cambio di cifre esorbitanti, promettono un rifugio insperato verso le coste europee attraverso viaggi insicuri che in definitiva si traducono in veri e propri calvari su imbarcazioni prive di qualsiasi elementare confort e molto antiquate sul piano della tecnologia di navigazione.

   I migranti fuggono dalle loro patrie che un tempo furono terre di conquista da parte di alcuni stati europei che, in nome di un’idea di dominio smisurato, imposero con la forza politiche basate sullo  sfruttamento e sul controllo economico illimitato. Questo tipo di espansionismo irriducibile si trasformò in una forma di imperialismo che si tradusse in  una tendenza all’allargamento dei propri confini d’oltremare e nel contempo nell’imposizione di eventuali sbocchi commerciali alle proprie produzioni. Tali politiche contribuirono a trasformare la popolazione locale in un insieme di esseri umani privi di ogni diritto. Pertanto la loro fuga oggi non ha alternative, ma è sollecitata soprattutto da quell’innato istinto di sopravvivenza presente in ogni essere vivente. La necessità di tale scelta è così grande che mettono in gioco la loro identità, il loro senso di appartenenza e perfino una  loro  eventuale tragica fine. Tale forzata migrazione verso l’Europa, che risulta essere un vero e proprio Exodus non nasce per caso, ma ha delle precise origini  nel passato. L’Europa ed in particolar modo l’Italia  dalla fine dell’ottocento e fino agli anni ’30 del  secolo scorso, a causa dell’eccedenza della popolazione e per una conseguente grave crisi di posti di lavoro  dovuta alla nascente rivoluzione industriale  il tutto associato  a disordini sociali e da malcontenti insanabili, avevano bisogno di uno spazio vitale maggiore dove trasferire un  certo numero di persone al fine di risanare questo squilibrio demografico. Questa politica di conquista  non presentò un volto umano né un fine modernizzatore al contrario  considerò i popoli soggiogati,   a torto, esseri inferiori e pertanto   furono impiegati nei  lavori più umili e più faticosi in cambio di modeste ricompense salariali e fu imposto a loro di vivere in abitazioni primitive nei sobborghi più periferici delle  città; non furono  offerti   i mezzi per acculturarsi e per progredire nella scala sociale, né per rinsaldare il senso di appartenenza alla loro terra e alla loro bandiera, in breve fu negata ogni integrazione sociale; tutto ciò si tramutò in una assenza completa di promozione umana.  Qualche storico dell’epoca continua a riferire enfaticamente a proposito dei  miglioramenti apportati dai colonizzatori di allora alle infrastrutture dei luoghi di approdo come ad esempio: la costruzione di ponti, di strade, di ferrovie, di ospedali, di scuole; se queste migliorie furono realizzate  certamente  furono scarsamente  al servizio della popolazione locale. Questa politica colonizzatrice  esercitata per decenni  si esaurì progressivamente con la fine della seconda guerra mondiale. Ciò fu dovuto sia ad un indebolimento economico post-bellico  delle grandi potenze europee sia alla pubblicazione della cosiddetta “Carta Atlantica” dettata da W. Churchill e da F. D. Roosvelt in cui si enunciava il diritto di autodeterminazione  di tutti popoli sottoposti a dominazione straniera e la conseguente affermazione universale dei diritti di libertà.

Come si è visto  la politica coloniale in tanti anni  non soltanto non aveva creato alcun progresso tangibile nella vita di milioni di persone, ma lasciava anche in eredità molteplici problemi di grave sottosviluppo aggravati  dai meccanismi dell’economia mondiale; il tutto  in definitiva aveva reso difficile non soltanto la nascita dell’indipendenza africana ma anche  la creazione di Nazionalità distinte ed autonome. A peggiorare questa problematica  si associava la multiforme  etnia dei vari popoli africani, l’importanza  sul piano economico della loro  residenza in aree costiere o dell’entroterra in una stessa regione, la presenza di fedi religiose diverse  oltre ad una esplosione demografica  gigantesca e senza precedenti dovuta ad un mancato controllo delle nascite; a conferma di ciò basta ricordare  che la popolazione africana nel 1970 era di 400 milioni e ai giorni nostri sfiora il miliardo.

Date queste premesse si può dire tranquillamente che le migrazioni massicce dei nostri giorni non si possono definire spostamenti biblici, ma sono invece legate a pregresse  politiche  non lungimiranti che non hanno favorito una promozione umana civilizzatrice, ma al contrario hanno permesso situazioni ambientali invivibili, precarie condizioni sociali, miseria per scarsità di lavoro, un’assenza di scolarità,  una sanità pubblica inesistente o quantomeno di cattiva qualità e certamente non gratuita nei riguardi delle persone senza reddito; a completare questo  quadro tragico  anche oggi in assenza di democrazia vengono inflitti persecuzioni e carcere per chi si ribella in un clima di  guerre fratricide senza fine.

    Sono tutti questi elementi che oggi  fanno emergere nei popoli africani  il forte desiderio di libertà che si traduce in una decisione irrefrenabile di fuga riponendo ogni loro speranza nelle traversate del  Sahara e del Mediterraneo organizzate  da  bande di criminali a cui per necessità  si affidano quotidianamente  con i risultati tragici che sono sotto gli occhi di tutti. Da quanto sopraesposto  è logico definire queste migrazioni di massa un fenomeno fisiologico, storicamente giustificato ed attualmente  ineluttabile, altro che definirlo illegale e sanabile con l’incarceramento  di questi malcapitati e di chi, mosso da sentimenti di solidarietà umana, offre in mare un aiuto per salvare la loro vita. Al contrario dovrebbero trovare calda accoglienza e in quanto profughi, nella maggior parte di essi, hanno il diritto internazionalmente riconosciuto di essere considerati rifugiati politici  provenendo da paesi governati da dittature in perenne stato di guerra. L’Italia in primis e tutta l’Europa si devono far carico di risolvere questo grave problema che attualmente esiste e di cui esse stesse ne sono l’origine. L’Europa in particolare non  può tirarsi fuori ignorando il fenomeno migratorio e affermando che è soltanto un problema italiano. Prima di tutto perché l’Italia fa parte della Comunità Europea, ma anche perché molti stati europei in un passato recente svolsero una politica colonizzatrice in Africa  che si caratterizzò per lo sfruttamento delle terre conquistate in assenza di una promozione sociale per la popolazione di allora. Se i governi europei fossero oggi lungimiranti, allo scopo  di ridurre il fenomeno migratorio, dovrebbero concorrere tutti allo sviluppo dei Paesi africani invece di  lasciarli vivere nella miseria  negando ogni evidenza storica. Soltanto in questo modo il Mediterraneo cesserebbe di  essere    la tomba di milioni di disperati e  tornerebbe  ad essere  un confine sicuro e naturale per l’Europa intera oltre che  il Mare Nostrum culla da sempre di civiltà e di progresso.