martedì 18 dicembre 2012

MALATI DI OBESITA': I RIMEDI CONTRO LA PANDEMIA

L’OBESITA’:  LA PANDEMIA  DEL  NUOVO  MILLENIO


L’obesità insieme al sovrappeso rappresentano, nel mondo occidentale, una patologia che per la sua frequenza e la sua diffusione può essere definita una pandemia che colpisce l’essere umano in ogni epoca della sua esistenza, anche in età pediatrica. Se non curata in tempo risulta estremamente grave sul piano prognostico perché, associandosi immancabilmente al diabete 2 dell’adulto,  può causare  a sua volta  gravi affezioni cardio-circolatorie come l’infarto, l’ictus cerebrale, l’ipertensione arteriosa,  l’ insufficienza renale, senza peraltro sottovalutare le ripercussioni psicologiche negative che può subire una persona a causa dell’eccessivo peso.
       Si stima che tale disordine metabolico in Italia interessa circa 10 milioni di persone. Un contributo alla sua insorgenza è sicuramente dato dal cambiamento radicale che ha subito l’alimentazione  negli ultimi decenni a causa di una raffinazione esagerata di alcuni nutrienti  di base da parte dell’industria. L’introduzione di un carico calorico eccessivo associato ad un consumo notevole di carboidrati ha reso possibile alcune alterazioni del nostro metabolismo che hanno portato a sovvertimenti ormonali a loro volta causa del sovrappeso.
       Questi carboidrati, una volta digeriti, passano nel sangue come  zuccheri che stimolano una ghiandola endocrina, il Pancreas, a produrre Insulina. Questo ormone ha la proprietà di legarsi a determinate strutture delle cellule, denominate Recettori Tessutali, che permettono la penetrazione dello zucchero nel loro interno. E’ interessante sottolineare che questi recettori, sono presenti su tutte le superfici cellulari, ma in particolar modo a livello delle fibre muscolari, nel fegato e nel tessuto adiposo. Quando lo zucchero presente nel sangue risulta elevato e si è in presenza di un ridotto numero di recettori tessutali, evenienza che spiegherò  più avanti, il pancreas per  reazione produrrà una maggiore quantità di insulina. Questo surplus non favorirà l’ingresso dello zucchero negli organi di deposito (muscoli e fegato), ma permetterà la sua penetrazione  nel tessuto adiposo che lo trasformerà in grasso. Quando l’insulina risulta biologicamente inefficace si è in presenza di una Resistenza Insulinica.  
      Pertanto un eccesso di insulina rappresenta il motore biochimico per l’instaurarsi di una eccedenza più o memo grave del peso corporeo.
   A prescindere dall’importanza del numero di questi recettori cellulari, il blocco funzionale dell’insulina può essere accentuato anche dalla riduzione del cosiddetto F.T.G. o fattore di tolleranza dello zucchero.
         Questa sostanza,  poco usata nel trattamento del diabete, formata da un micro-elemento denominato Cromo incorporato in una struttura organica, non è un sostitutivo dell’insulina, ma quest’ultima risulta  inefficace in sua assenza .
         In molti soggetti  mancando il cromo si può instaurare una forma frequente di diabete 2 e cioè il tipo insulino-indipendente  associato ad un eccesso di peso corporeo. Poiché tale elemento è presente negli alimenti integrali è consigliabile un loro uso quotidiano.
          A questo punto ci si può chiedere perché, pur mangiando la stessa quantità di carboidrati, alcune persone rimangono magre ed altre possono incrementare il loro peso? La spiegazione è semplice.
Un soggetto che ha uno sviluppo muscolare adeguato, perché conduce una vita attiva, possiede a livello muscolare molti Recettori cellulari che possono captare l’insulina e quindi permettere allo zucchero introdotto con l’alimentazione di depositarsi all’interno delle cellule muscolari  e del fegato come glicogeno o zucchero di riserva pronto per essere utilizzato. Al contrario in un soggetto con un apparato muscolare atonico (a causa della sua sedentarietà), e quindi scarsamente dotato di recettori dell’insulina, lo zucchero presente nel sangue sarà dirottato all’interno del tessuto adiposo le cui cellule lo trasformeranno in grasso. Si evince pertanto che l’ingresso dello zucchero nelle cellule muscolari è direttamente proporzionale allo stato trofico dei muscoli.
        Quindi risulta evidente che per evitare alti livelli di insulina è fondamentale la pratica dell’esercizio fisico o quanto meno l’adozione di uno stile di vita più attivo (scarso utilizzo dell’auto, uso limitato dell’ascensore e delle scale mobili, meno ore davanti alla TV e al computer). Alcuni studi  permettono di affermare che, anche in presenza di un aumento esagerato di insulina , l’esercizio fisico favorisce l’utilizzo dei grassi di deposito e quindi la riduzione di peso.
In definitiva l’attività fisica regolare incrementa il numero e l’efficienza dei cosiddetti recettori tissutali dell’insulina e di conseguenza migliora l’azione biologica di questo ormone impedendo dei picchi elevati della glicemia e quindi il diabete e l’obesità. In tal modo si ha un aumento della massa muscolare e una riduzione della massa grassa, ciò si traduce in un maggior equilibrio metabolico dell’organismo. Affinche’ l’esercizio fisico possa fornire tali effetti deve essere praticato per almeno un’ora più volte alla settimana. E’ stato dimostrato, da studi compiuti in Svezia, che una tale frequenza fa aumentare una sostanza chiamata Lipasi sensitiva che svolge una funzione di “Brucia Grassi” per circa 12 ore dal termine dell’attività fisica. Un’altra prerogativa è che durante lo sforzo la frequenza cardiaca non superi i 140 battiti al minuto senza eccessiva difficoltà respiratoria; in poche parole deve svolgersi in aerobiosi. In conclusione l’esercizio non deve trasformarsi in una performance di tipo competitivo, pena la riduzione dei benefici sopraelencati.
Tutti gli studi sull’argomento confermano  che ciò che distingue le persone magre è l’abitudine a camminare; infatti quelle  snelle percorrono ogni giorno alcuni chilometri, mentre quelle obese generalmente percorrono soltanto poche centinaia di metri.
A questo punto, per meglio comprendere l’insorgenza dell’obesità, vorrei sottolineare che il nostro tessuto adiposo viscerale a localizzazione addominale volgarmente detto “Pancia” non svolge soltanto  una funzione  di deposito, ma al contrario rappresenta un organo ormonale attivo a tutti gli effetti che reagisce al suo incremento volumetrico. In che maniera? Producendo appunto degli ormoni regolatori; i più conosciuti e studiati sono chiamati Leptina e Adiponectina.
        Il primo viene prodotto dalle cellule adipose quando incomincia ad aumentare il loro contenuto di grassi; tale ormone comunica al cervello che i depositi sono pieni; come reazione  il centro della fame  riduce l’appetito. In questo modo si blocca l’ulteriore accumulo.
   Purtroppo in alcuni soggetti questo meccanismo di regolazione è ridotto per la presenza di una resistenza congenita o acquisita all’azione della Leptina. In questo modo si può spiegare l’insuccesso di un trattamento dietetico inizialmente normocalorico.  Il secondo ormone  e cioè l’Adiponectina, induce  un maggiore  effetto lipolitico (Sciogligrassi) a carico dei depositi  soprattutto durante l’attività fisica migliorando nel contempo l’azione dell’insulina. Si può definire pertanto un acceleratore del “ dimagramento a cascata”.
E’ possibile diagnosticare correttamente uno stato di sovrappeso?
           Sul piano clinico esiste un segno obiettivabile e cioè la circonferenza del girovita; questo dato nell’uomo in sovrappeso deve superare i 98 centimetri, nella donna 88 centimetri.
   Poiché la chiave di volta di questa patologia è l’eccesso di insulina, dal punto di vista laboratoristico risulta  importante la valutazione  dell’insulina a digiuno che deve essere superiore a 10 mcg/ml, associata ad una glicemia superiore a 100mg%.
Un altro dato per valutare indirettamente  l’iper-insulinemia a digiuno è il rapporto tra Trigliceridi e HDL (la frazione del colesterolo cosiddetto buono) che nel soggetto in sovrappeso deve essere superiore a 2. La validità di questo esame è giustificato  dal fatto che un’ insulinemia elevata incrementa la quantità dei trigliceridi e la quantità di colesterolo prodotta dal fegato. Per inciso, a conferma di ciò, Barry Sears studioso della  cosiddetta “ Dieta a Zona”, dopo numerosi studi è arrivato alla conclusione che  un soggetto gode ottima salute, almeno sul piano dell’equilibrio metabolico, quando questo rapporto non supera il valore di 2.
     Quali sono i cibi che innescano il meccanismo che porta al sovrappeso?
Senza dubbio i cibi raffinati(non integrali) ad alto indice glicemico (zucchero facilmente assorbibile) e con alto indice insulinico (produzione esagerata di insulina) e cioè i prodotti derivati dalla farina bianca e dallo zucchero bianco (vedi : merendine varie, barrette di cioccolato, dolciumi di tutti i tipi, spuntini vari, bevande ipercaloriche che vanno sotto il nome di “soft drink” tanto propagandate dai Media radio-televisivi  nelle ore di massimo ascolto!). Anche l’assunzione di poche fibre con la dieta accentua il meccanismo di assorbimento degli zuccheri. Inoltre è imperativa la riduzione , perché rendono l’insulina meno efficace, dei grassi saturi (burro, margarina, carni rosse, oli idrogenati), presenti soprattutto nei cosiddetti “cibi spazzatura” venduti in alcuni noti fast-food (frequentati purtroppo anche dai bambini).
   Al contrario i cibi che ostacolano l’obesità sono: i carboidrati complessi, i cereali integrali, i legumi, le verdure, la frutta, i grassi vegetali, l’olio di oliva, i semi di soia ,di lino ,di girasole(ricchi di acidi grassi essenziali, utili per le funzioni delle strutture cellulari), la frutta secca, piccole quantità di carne bianca povera in grassi saturi (tacchino, pollo,  coniglio). Sostanzialmente una dieta vegetariana con qualche piccola eccezione….
     Dal punto di vista quantitativo il numero delle calorie, per prevenire un sovrappeso, dovrebbero attestarsi nelle persone giovani (dopo i 20 anni) tra 1000 e 1500 a seconda delle loro attività fisiche, tra i meno giovani tra 1400 e 1800, tra le persone della terza età intorno a 1200.
  Escludendo le persone che svolgono un’attività fisica ed un lavoro pesante, un  aumento di queste quantità caloriche  purtroppo rappresenta una causa certa di sovrappeso.
    Da quanto esposto si può capire perché anche una dieta corretta, può fallire l’obiettivo di ridurre il peso. Per ottenere dei risultati deve conformarsi alle leggi codificate della fisiologia umana in tema di alimentazione in associazione ad uno stile di vita salutare. Non si deve dare la preferenza  soltanto ad un nutrimento, trascurando gli altri perché l’insuccesso e le complicanze sono assicurate( vedi la dieta iperproteica). Al contrario deve essere armonizzata e possibilmente formata da cibi  naturali. Il segreto è saperli miscelare tenendo conto delle caratteristiche psicofisiche del paziente, del suo tipo di lavoro,del suo grado di sovrappeso, della sua età.
Comunque la formula migliore  che si può suggerire è la seguente: Riduzione complessiva delle calorie introdotte rispettando le proporzioni: 40% di calorie sotto forma di carboidrati, 30% sotto forma di grassi possibilmente insaturi, 30%  sotto forma di proteine, senza trascurare l’importanza degli oligoelementi quali: Zinco, Cromo, Magnesio che rendono più fisiologica e più efficace  l’azione dell’insulina.
E’ fondamentale abbinare alla dieta il movimento regolare,  non intenso e perché no piacevole e divertente (come può essere ad esempio anche la pratica del ballo) che agisce come regolatore dei nostri ormoni e soprattutto come mezzo per eliminare dal nostro organismo le calorie in eccesso che spesso imprigionano il nostro corpo in una gabbia di chili di troppo che non ci permettono di essere liberi e sani come la nostra natura reclama.  

I FUNGHI CROCE E DELIZIA DELLA NOSTRA ALIMENTAZUìIONE

I  FUNGHI CROCE E DELIZIA DELLA NOSTRA ALIMENTAZIONE

Le notizie diffuse dai media in questi ultimi giorni e cioè la morte di tre componenti di una famiglia residente a Cecina (Pisa), di altri due coniugi originari della Lomellina (Pavia) in condizioni disperate in attesa di trapianto epatico e l’effettuazione di due trapianti di fegato a Milano e a Bergamo quest’ultimo su un bambino di due anni colpiti da gravi epatiti fulminanti scatenate dall’ingestione improvvida di funghi velenosi, ha destato in me una particolare impressione tale da spingermi a delineare la problematica sulla pericolosità concreta dell’uso di alcuni tipi di questo alimento, pericolosità peraltro un po’ trascurata almeno sul piano divulgativo e che soltanto in alcuni periodi  dell’anno si attualizza fornendo notizie tragiche che una conoscenza appropriata del problema potrebbe scongiurare. Dagli accadimenti di questi ultimi giorni si conferma l’assioma che di funghi si muore oggi come in passato.
   Tali frutti che la natura ci mette a disposizione sono organismi vegetali atipici che crescono in centinaia di forme e colori e che generano un equilibrio ecologico fondamentale per i nostri boschi.
   La raccolta dei funghi, per molti appassionati, rappresenta una specie di sport che dovrebbe  permettere di far festa dopo una loro adeguata  preparazione culinaria; purtroppo non è sempre così perché  alcuni tipi sono commestibili, mentre altri sono velenosi anche in  piccole quantità  specialmente in  età pediatrica, per inciso ai bambini dovrebbero essere proibiti anche quelli commestibili.
Ecco l’importanza di far selezionare ciò che si raccoglie, indiscriminatamente, da persone esperte nella figura di un Micologo che molte ASL in tutta Italia mettono a disposizione; infatti fidarsi delle proprie certezze conoscitive può costare molto caro per quanto riguarda la nostra vita.
Per rendere l’argomento più  chiaro trovo utile suddividere i vari tipi di funghi in tre classi: I funghi commestibili,  i funghi velenosi e i funghi mortali. I secondi quasi  sempre  causano disturbi subito dopo l’ingestione   (breve periodo  di latenza),  quelli mortali  scatenano sintomi dopo 6  e fino a 36-48 ore   (lungo periodo di latenza).  Generalmente quelli a breve latenza  sono i meno pericolosi perché le loro tossine non sono troppo virulente soprattutto se è possibile mettere in atto dei presidi terapeutici come la lavanda gastrica, la somministrazione di carbone vegetale che rende inefficiente la tossina e l’infusione di una notevole quantità di liquidi appropriati per alcuni giorni. Al contrario quelli mortali a lunga latenza (Amanita Phalloides, Amanita Verna, Amanita Virosa e Cortinarius Orellanus)   sono dotati  di sostanze tossiche pericolose in quanto hanno un potere distruttivo su organi vitali come il fegato ( i primi tre) e il rene (il quarto) (con perdita definitiva della funzione renale a lunga distanza  dall’ingestione).  Il ritardo della loro  manifestazione sintomatologica  fa sì che gli interventi curativi si  mettono  in atto quando ormai i principi tossici hanno invaso l’organismo e il materiale ingerito è stato assimilato. Quando le tossine hanno completato i danni sugli organi bersaglio l’exitus  purtroppo è la regola a meno che non si abbia la fortuna di avere la disponibilità di un organo compatibile da trapiantare. Ecco l’importanza della tempestività delle cure mediche!
Mi preme sottolineare che per tutti i funghi velenosi sia quelli a breve latenza sia quelli a lunga latenza i sintomi iniziali sono quasi sempre a carico dell’apparato gastro-enterico (nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, sete intensa, iper-salivazione). In questa fase il ricovero deve essere immediato. I presidi terapeutici inizialmente sono i medesimi.
    Nel caso di una intossicazione da funghi a breve latenza la guarigione è quasi la regola,  nel caso di quelli a lunga latenza divenendo più preoccupanti e impegnativi i segni clinici l’intervento medico deve essere più intensivo e più invasivo per cercare di ridurre la  prognosi infausta.
E’ necessario,  qualora fosse possibile,  ricercare con l’aiuto del laboratorio (con il metodo Elisa) la presenza della tossina specifica (l’Amanitina o l’Orellina)  esaminando un piccolo campione di urine prima dell’inizio di qualsiasi trattamento; la positività di tale test permette al medico di adeguare la terapia al caso in questione   come ad esempio  l’utilizzazione di un mezzo terapeutico sofisticato come ad esempio il  M.A.R.S.  più semplicemente detto “Fegato Artificiale” che ha la capacità di rimuovere sostanze tossiche in un fegato in tilt in attesa di una ripresa di funzione o di un trapianto,   senza peraltro  tralasciare l’infusione di grandi quantità di liquidi appropriati in associazione ai mezzi terapeutici basilari sopracitati per l’eliminazione del cibo tossico.
     In questo tipo di intossicazione sarebbe importante avere anche  a disposizione un antidoto specifico per contrastare l’azione della tossina in questione.
Consultando soprattutto la letteratura tedesca a tal proposito ho avuto modo di scoprire che i presidi d’urgenza di medicina intensiva degli ospedali tedeschi hanno in dotazione una sostanza ricavata da una pianta millenaria  il “Cardo Mariano” denominata Silimarina anti-epatotossico per eccellenza (il cui nome commerciale è “Legalon”)  che iniettata precocemente  per via endovenosa in dosi prestabilite in base al peso del paziente e per la durata di 3-4 giorni, riduce di molto la mortalità. Secondo il sito tedesco “aponet.de” nell’intossicazione più grave da “amanita falloides,  se  trattata con Silimarina, la mortalità si riduce dal 30% a meno del 10%. Il meccanismo di azione, verificato anche sperimentalmente, dà luogo ad un blocco a livello di  particolari recettori della tossina presenti sulle membrane delle cellule epatiche impedendone l’ingresso e quindi i danni relativi (Hichino H. e coll.: Planta Medica, 248-250, 1984;  Albrecht M., Frerick H.: Z. Klin. Med.47, 87-92, 1992).
Questa sostanza svolge inoltre una notevole azione antiossidante,  dieci volte superiore a quella offerta dalla vitamina E, molto utile per ridurre il danno dell’organo interessato, associata ad un incremento della sintesi proteica fondamentale per la ricostituzione del patrimonio cellulare epatico.
  Ho chiesto ai responsabili di alcuni presidi ospedalieri d’urgenza italiani se utilizzavano  la Silimarina in casi di intossicazione da funghi,  la risposta è stata negativa perché non conoscendola  non avevano alcuna esperienza nel merito. La proposta terapeutica offerta dai medici rianimatori tedeschi, data l’efficacia e l’assenza di pericolosi effetti collaterali,  dovrebbe essere accolta  dai colleghi italiani anche perché non si hanno altri antidoti sicuri a disposizione.
  Poiché, come si è visto,  le terapie messe in atto a tutt’oggi risultano efficaci ma non sempre, le armi  vincenti  come in altre patologie rimangono  la prevenzione e la precocità dell’intervento medico.
A tal proposito bisogna considerare i funghi frequenti “mine anti-uomo”   e di conseguenza evitare a tutti i costi il comportamento “fai da te” di fronte ad una ricca raccolta degli stessi (in due città come Empoli e Varese si sono verificati nelle ultime settimane complessivamente 100 casi di avvelenamenti per fortuna non mortali) ; pertanto  è necessaria una corretta valutazione di un esperto prima di accingersi a degustarli. Se dopo un lauto pranzo ci fosse  il sospetto  di aver ingerito materiale fungino anche in piccola quantità e dovessero comparire sintomi acuti digestivi è fondamentale consultare un Pronto Soccorso portando con sé , quando è possibile, un residuo del cibo sospetto per eliminare il dubbio sulla  sua natura  con l’aiuto  di un micologo  disponibile  per iniziare eventualmente  un trattamento adeguato senza ritardi ed incertezze, perché il successo della cura  sta  nella sua precocità.
  Da quanto sopradetto  risulta auspicabile che l’adozione di adeguati percorsi conoscitivi,  comportamentali e preventivi per quanto riguarda l’uso dei funghi a tavola   possa allontanare lo spettro dei gravi rischi a cui si può andare incontro e nello stesso tempo lasciare intatto il piacere di degustarli con serenità  come cibo conviviale per eccellenza.